Di fronte alla precarietà, cosa c’è di più solido di Gesù?

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di Francesco Inguanti

Iniziamo con oggi la raccolta di una serie di interviste (conversazioni) rivolte a vari parroci di alcune città della Sicilia, sul cambiamento della loro esperienza in questo periodo diforte riduzione dell’attività parrocchiale. Cominciamo col dare la parola a Don Angelo Tomasello che è da otto anni parroco nella chiesa di San Gabriele a Palermo.

 

Don Angelo, da oltre un mese anche la sua parrocchia è chiusa. Niente fedeli da accogliere, niente sacramenti da amministrare, niente catechesi. Che effetto le fa vedere non solo la chiesa, ma soprattutto i locali parrocchiali privi di bambini e adulti?

In realtà la parrocchia non è completamente chiusa. La chiesa è aperta per alcune ore al giorno per permettere ai passanti di sostare qualche minuto in preghiera. Essa è posta al centro di una piazza in cui si aprono numerosi esercizi commerciali, tra cui una farmacia, un supermercato, un panificio e una macelleria. Quindi chi esce di casa per esigenze primarie può approfittare per passare anche dalla chiesa. I contatti con i parrocchiani sono tenuti ovviamente con altri mezzi, perché sono in molti quelli che chiedono una parola di conforto ed un po’ di compagnia seppur per telefono. Non mancano per altro le domande più di fondo, quelle riferite al momento che stiamo vivendo: “Dov’è Dio in questo momento? Perché non ascolta le nostre preghiere e blocca la pandemia? Ecc.” Io rispondo sempre in un modo: “Il nostro Dio non ci salva scendendo dalla croce, ma stando in croce”. Ciò vuol dire che dobbiamo saperlo trovare accanto a noi anche nella sofferenza. 

Anche se non possiamo amministrare sacramenti, non si è interrotto il legame con gli ammalati. Spesse volte ho dovuto amministrare a casa e con le dovute cautele il sacramento dell’unzione degli infermi. La vicenda che più mi fa soffrire sono i funerali. In parrocchia ne facciamo in media due a settimana, ma in queste settimane non è stato possibile celebrarne nemmeno uno. È terribile andare nelle case per la benedizione delle salme e non poter scambiare con i pochi parenti presenti nemmeno un sorriso di solidarietà, perché impediti dalle mascherine. Non si riesce a vedere il volto di chi sta davanti e quindi la comunicazione è molto formale. Sappiamo bene che i funerali non servono ai morti, che vedono già il volto di Dio, ma ai familiari. Servono per offrire una parola di conforto ai parenti. 

Continuo tuttavia a garantire le Catechesi alla comunità parrocchiale attraverso i social. Ho fatto anche gli esercizi spirituali durante la quaresima. Il tema? Alcune delle domande che Gesù pone nel Vangelo. Una cosa che non sta mancando è la lectio divina che come ogni giovedì sera propongo ai parrocchiani e adesso ovviamente tramite web. E un modo tutto nuovo e anche più complicato di comunicare, perché parlare davanti ad una telecamera senza il feedback di persone presenti non è il massimo. Però è una condizione che tutti stiamo accettando di buon grado e vedo che anche i parrocchiani l’apprezzano

 

Che tipo di ausilio ha avuto dai mezzi di comunicazione (telefono e web innanzitutto) per continuare i rapporti con i parrocchiani?

Continuo a mantenere a tutt’oggi i rapporti con i parrocchiani con tutti i mezzi di comunicazione disponibili. Abbiamo attiva una pagina fecebook della parrocchia, abbiamo attivato un canale You Tube della parrocchia, esiste un canale Telegram attraverso cui passano le informazioni, poi abbiamo un numero di WhatsApp dedicato al rapporto con i ragazzi. Ai ragazzi soprattutto ogni domenica invio un video messaggio che è una sorta di riproposizione dei temi dell’omelia della messa celebrata alle 10,30, ma con una forma più semplice e con ausili visivi. Il rapporto con i ragazzi del catechismo è comunque assicurato con i gruppi di WhataApp che sono 11 quanto i gruppi costituiti ad inizio anno. Con lo stesso sistema seguo il gruppo dei ministranti e quello di coloro che si stanno preparando per ricevere la Cresima, anche se adesso non sappiamo se e quando si potrà amministrare. Proprio con i ragazzi della cresima stiamo portando avanti una esperienza con la piattaforma Zoom così da poterlo continuare seppure a distanza. L’appuntamento settimanale aiuta i ragazzi a rompere la routine quotidiana spesso monotona e li aiuta a sentirsi pensati e amati. È un modo per far sentire la presenza di un Dio che apparentemente appare lontano.

 

C’è un settore che non può essere fermato: quello della carità. Come ha affrontato le problematiche che ne sono connesse?

Ovviamente la “macchina” della carità non si è fermata, anzi ha lavorato e lavora di più. C’è stato un incremento delle richieste e da subito abbiamo iniziato una distribuzione di beni alimentari. Spesso si tratta di beni messi a disposizione da altre famiglie che appena li portano in parrocchia subito vengono redistribuiti. Usufruiamo del “carrello sospeso” una iniziativa promossa da alcuni supermercato in cui vi sono dei raccoglitori di beni in cui chi vuole lascia anche un solo kg di pasta per chi ne ha bisogno. I supermercati in zona che ci aiutano sono due. La cosa più terribile è che alle famiglie tradizionali che aiutiamo da più tempo, si aggiungono nuove situazioni familiari dove non entra adesso alcun nessun tipo di reddito perché l’attività economica svolta dal capofamiglia era in nero o precaria. Queste persone vivono con profondo disagio questo momento quasi con una sorte di vergogna perché fino a prima dell’emergenza vivevano più o meno decorosamente ed improvvisamente adesso si trovano senza alcun provento. Il segno più evidente è che queste famiglie non vengono a chiedere. Bisogna individuarle con grande discrezione ed aiutarle spesse volte nell’anonimato e nel silenzio. C’è il rischio che a queste famiglie se ne aggiungono altre che finora hanno tirato avanti con piccoli risparmi che molto presto potranno esaurirsi.

 

L’esperienza del catechismo è continuata seppur a distanza? E come?

L’esperienza del catechismo ovviamente ha subito un arresto, e quindi i locali parrocchiali sono deserti, sembrano morti. Devo ammettere che da più di un mese non scendo giù, lì dove facciamo il catechismo. Quelle aule vuote, inanimate, senza vita mi fanno impressione. Devo ringraziare le catechiste per il lavoro encomiabile che stanno svolgendo proseguendo in tanti modi il rapporto con i ragazzi. Ci facciamo aiutare tantissimo da uno strumento messo a disposizione da TV2000: “CaroGesù insieme ai bambini”, un modo per continuare la catechesi in famiglia con una striscia quotidiana che si rivolge ai bambini compresi tra gli 8 e i 12 anni. Ci sono delle brevi clip che rispondono a delle domande e a dei pensieri presentate da una catechista. Ogni incontro di circa 10-12 minuti affronta un tema. Accanto a questo poi le catechiste aggiungono il rapporto personale con le video chiamate attraverso cui fanno sentire la loro vicinanza invitando anche a fare lavoretti da casa. Tutto ciò all’interno dell’impegno quotidiano che i ragazzi hanno per lo studio on line proposto dai loro insegnanti. 

 

Come hanno vissuto queste settimane i suoi parrocchiani? L’appartenenza alla comunità cristiana della parrocchia come li ha aiutati?

In un primo momento ero orientato a invitare i parrocchiani a seguire le celebrazioni proposte dalla televisione, a cominciare da quella del Papa della mattina alle 7. Ma poi mi sono convinto che dovevo comunque assicurare una presenza. Posso affermare che la celebrazione della messa in streaming è abbastanza seguita dai parrocchiani ed anche con un alto tasso di gradimento. Vedere le immagini del proprio parroco e della propria parrocchia li fa sentire meno “orfani”. C’è quindi un senso di appartenenza che continua seppur in una forma strana e diversa continua. Quindi il senso di appartenenza si è mantenuto. All’inizio anch’io ero come i discepoli di Emmaus che tornavano a casa tristi perché non sapevano che fare. Ma oggi forse siamo come gli stessi protagonisti che tornano a Gerusalemme gioiosi perché hanno incontrato il Signore. Non è come pensavamo e speravamo, è nuova e diversa ma è comunque una modalità per percepire la presenza di Dio nella nostra vita. Abbiamo così la possibilità di sentirci comunità sebbene ciascuno a casa propria. 

 

Vi sono esperienze accadute in questo periodo particolarmente significative che ha avuto modo di conoscere?

Sono tante le cose che ricorderò di questo particolare momento. Innanzitutto l’incremento della collaborazione con la parrocchia vicina di Maria SS del Perpetuo Soccorso, con cui stiamo facendo parecchie attività insieme, a partire dalle celebrazioni in streaming che facciamo, alternandoci quotidianamente con l’altro parroco. Altra esperienza significativa di questo periodo è quella dei funerali. Ho raccolto tante lacrime di familiari che non hanno potuto nemmeno vedere seppellire i loro cari. Una esperienza certamente meno triste è quella di una signora di 82 anni che si è comprata uno smartphone per seguire tramite Facebook le attività della parrocchia. Avverto nei parrocchiani un senso di mancanza ed è per questo che speriamo presto si torni ad una normalità che non sarà certamente quella di prima. Concludo parlando di alcune persone del quartiere che ho visto in questi giorni entrare in chiesa, sostare in silenzio, pregare e talvolta anche piangere. Sono persone che conosco e che mai prima d’ora erano entrate. Certo è frutto di questa precarietà che viviamo. In latino precario e pregare hanno la stessa radice nella parola prex che significa avere bisogno di appoggiarsi a qualcosa di solido. Più solido di Gesù nella nostra vita credo non ci sia nulla.

Foto: Gennari/Siciliani – SIR

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