Giorgio Vittadini: l’Italia è un mondo vitale, anche se in sofferenza

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di Francesco Inguanti

Giorgio Vittadini è il Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà e da tempo si occupa di questo tema e studia l’importanza dei corpi intermedi nella nostra società. Di recente ha pubblicato con altri due autorevoli e appassionati cultori della materia, Franco Bassanini e Tiziano Treu, un interessante e corposo saggio: Una società di persone? I corpi intermedi nella democrazia di oggi e di domani, edito dal “il Mulino”.

Professore Vittadini, in questi mesi lei ha visitato molte città d’Italia e ha incontrato tante persone per presentare questo libro. Che Italia ha visto?

Un’Italia molto vitale, anche se in sofferenza, lontana dai palcoscenici televisivi, ma molto impegnata nel darsi da fare e aiutare i molti che hanno bisogno. L’Italia è ricca di capacità di creare aggregazioni “dal basso” per rispondere a bisogni collettivi. Sette italiani su 10 credono che i corpi intermedi suppliscano alle carenze dei servizi sociali.

Ma il loro ruolo è a suo avviso riconosciuto?

Poco da parte delle istituzioni che, al massimo, coinvolge i corpi intermedi con compiti di supplenza nei momenti in cui le loro risposte sono carenti. Se non vengono a pieno titolo inseriti nell’architettura complessiva del sistema Paese, e se le scelte decisive non terranno conto del loro contributo e delle loro esigenze, si disperderà una risorsa fondamentale.

E la conclusione?

È duplice. Occorre, per un verso, contrastare la chiusura corporativistica che sempre attraversa la nostra società, ridando spazio e credibilità ai valori ideali che sono stati e stanno a fondamento della nostra convivenza sociale. Poi la politica deve tornare a dare credito al Terzo settore.

L’anno sarà segnato da importanti scadenze politiche: elezione del Presidente della Repubblica, utilizzo dei finanziamenti europei, e poi in fine la conclusione della legislatura. A sua avviso la Sussidiarietà fa parte dell’agenda di queste scadenze o rimarrà un convitato di pietra?

Me lo auguro vivamente. Noi continueremo a fornire il nostro contributo culturale, di analisi e possibili soluzioni. Non va dimenticato che il principio di sussidiarietà, specie nella sua dimensione orizzontale, è entrato a far parte della nostra Costituzione con la riforma del Titolo V, indirizzando l’evoluzione legislativa e gli interventi di molte regioni italiane.

Ma c’è il rischio di rimanere sul terreno dei principi?

Il rischio esiste. Per questo è fondamentale mostrare quanto i criteri di sussidiarietà possano aiutare l’Amministrazione a mettere in campo convincenti modelli di politica pubblica nei diversi settori. Sono molte le analisi e le ricerche, anche della Fondazione per la Sussidiarietà, che dimostrano la capacità che questi modelli hanno di tenere insieme due esigenze all’apparenza inconciliabili: l’innalzamento della qualità di interventi e servizi pubblici a favore di cittadini, imprese e corpi intermedi e, nello stesso tempo, la riqualificazione della spesa pubblica, tanto in termini di contenimento che di risultati raggiunti.

Ma questo riguarda le politiche sociali. E per il resto?

Non è così. Nelle politiche sociali il dato è più evidente, ma esse offrono metodologie di approccio che valgono per tutti i settori, come l’esperienza in tutta Italia ormai dimostra. Pensiamo al contributo educativo che le scuole paritarie offrono a tutto il sistema. I periodici Rapporti di ricerca della Fondazione, nei suoi vent’anni di vita, hanno illustrato l’efficacia di questi interventi in materia di lavoro, educazione, finanza, imprese, solo per citare alcuni ambiti.

Lei ha sempre evidenziato il rischio presente nella politica italiana di: “un uomo solo al comando”. Ma sembra adesso che sia meglio così che prima. Ma quanto può durare questo “commissariamento della politica”? È un problema di leader incapaci o di cittadini che non credono più alla politica?

Purtroppo vi sono entrambe le cause indicate: mancanza di leader e scarso interesse dei cittadini. Ma in genere i grandi politici nascono dall’esperienza di base. Se non c’è una passione dei cittadini per la politica è difficile che emergano grandi personalità, al massimo ci saranno burocrati di partito.

E allora?

La nostra storia ci dice che partendo dal basso si ottengono risultati più duraturi e più condivisi. Per dirlo in altri termini: è un problema educativo. Che parte dalla scuola, per finire alle scuole di partito, e a tutti i corpi intermedi. Tutte cose di cui si è persa la memoria. Storicamente un popolo nei momenti di crisi facilmente si affida all’uomo solo al comando, che a prima vista risolve i problemi, ma che a lungo andare impedisce le dinamiche di una democrazia partecipata.

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