Intervista a mons. Michele Pennisi in occasione di un convegno sindacale sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole.

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Mons. Michel Pennisi nella sua qualità di Vescovo delegato della Conferenza Episcopale siciliana per l’Educazione Cattolica, la Scuola e l’Università ha preso parte al convegno regionale organizzato dalla CISL Scuola sul tema: L’INSEGNANTE DI RELIGIONE CATTOLICA. APPROFONDIMENTI IN TEMA DI NUOVO RECLUTAMENTO E PROFILO PROFESSIONALE. Nell’occasione gli abbiamo posto alcune domande.

Mons. Pennisi, sono sempre di più quelli che si chiedono che senso abbia oggi continuare a sostenere l’insegnamento dell’insegnamento cattolico nelle scuole italiane. Lei cosa risponde?

Ritengo ancora valido ed attuale quanto affermato qualche anno fa dall’allora pontefice Benedetto XVI quando ricevendo in udienza proprio gli insegnati di religione disse: “L’insegnamento della religione cattolica è parte integrante della storia della scuola in Italia, e l’insegnante di religione costituisce una figura molto importante nel collegio dei docenti. È significativo che con lui tanti ragazzi si tengano in contatto anche dopo i corsi. L’altissimo numero di coloro che scelgono di avvalersi di questa disciplina è inoltre il segno del valore insostituibile che essa riveste nel percorso formativo e un indice degli elevati livelli di qualità che ha raggiunto”.

Però il numero degli studenti che decidono di non avvalersi di questo insegnamento è in aumento, senza contare poi il problema degli studenti che non sono di religione cattolica.

Forse oggi il numero non è altissimo ma è certamente indicativo, (in Italia oggi è ancora più dell’86%, mentre in Sicilia il dato è ancora più alto), ma soprattutto è attuale quanto affermò il Papa, che cioè il rapporto che si instaura tra docente è studente è molto significativo a tal punto da proseguire anche dopo la scuola. E questo è un contributo a tutta la società.

Ma come si colloca questo tipo di insegnamento in un contesto sociale così diverso e mutevole qual è quello della scuola di oggi?

In un contesto in cui la globalizzazione tende ad inghiottire tutte le differenze, l’insegnamento della religione, che si inserisce nel quadro delle finalità della scuola e nel rispetto della libertà di coscienza di ogni persona, deve aiutare a un sano recupero della identità a tutti i livelli: da quello personale a quello culturale. È necessario, pertanto, che i contenuti vengano presentati con competenza, in tutta la loro specificità, per essere accolti come espressione di uno sguardo significativo sull’uomo e sul mondo, tale da suscitare interesse e passione negli alunni.

Cosa si chiede agli insegnati di religione oggi?

Si chiede che sappiano presentare in modo culturalmente fondato e dialogico i valori del Cristianesimo, come vera occasione di crescita dei ragazzi e dei giovani, collocata nel quadro delle finalità della scuola. Essi con il loro insegnamento, aperto alla collaborazione interdisciplinare, sono chiamati ad aiutare ad approfondire il significato del fatto religioso, della religione cristiana e delle altre religioni.

Rimane il fatto che la società e con essa la scuola dovrebbero essere laiche rispetto a questo tipo di proposta. O no?

In realtà l’opinione pubblica, influenzata dal mass media, fa spesso ancora una certa fatica a capire la complessità per alcuni paradossale dell’insegnamento religioso nella scuola statale in Italia che è garantito da norme concordatarie: da una parte la sua natura di disciplina scolastica aperta al dialogo e al confronto con tutte le culture, dall’altra parte l’insegnamento affidato a docenti con idoneità diocesana, nominati d’intesa tra l’Istituzione scolastica e l’Ordinario diocesano. Bisogna smascherare una fuorviante idea della laicità, secondo cui questa debba sempre e comunque significare neutralità rispetto all’appartenenza credente, laddove se autenticamente intesa la laicità stessa implica ed esige il coinvolgimento nelle appartenenze religiose.  L’educazione religiosa avviene nel confronto con proposte precise, in un clima di libertà e di stimolo alla responsabilità, e non invece nel confronto che parte dal presupposto che tutte le religioni sono uguali o interscambiabili.

Proviamo a guardare avanti. Vi è un futuro per questo insegnamento?

Guardando al futuro bisogna affermare che l’insegnante di religione deve vivere per la coscienza popolare di una comunità vivente che rende ragione del proprio vissuto, e che riconosce questo insegnamento idoneo alla propria cultura. Il suo futuro si gioca molto sulla qualità dell’insegnante e dell’Insegnamento. Per rispondere alle sfide che la nostra società pone all’Insegnamento della religione cattolica è importante continuare ad investire in una qualificata professionalità docente attraverso proposte significative di formazione   permanente dei docenti di religione, che si collochino all’interno del processo di riforma della scuola italiana, per un rinnovato rapporto con la società e la comunità cristiana.

Vi sono poi problemi giuridici non risolti sul reclutamento, per esempio. Che fare?

In questi decenni dopo la prima Intesa del 1985, molte migliaia di docenti, soprattutto laici, hanno svolto con passione e competenza un prezioso servizio culturale che ha permesso di superare molte situazioni di debolezza di una disciplina ancora spesso fraintesa Si rivela sempre più necessario e doveroso trovare al più presto una soluzione per riconoscere la qualificata professionalità di questi docenti, certificata anche dal possesso di eccellenti titoli di studio, secondo le indicazioni contenute nel quarto capitolo dell’Intesa D.P.R. 175/2012 ormai entrata pienamente in vigore.

Si torna a parlare di un nuovo concorso. È vero?

I Vescovi italiani guardano con interesse e con favore ad un nuovo Concorso che confermerebbe e rafforzerebbe l’istituzione dei ruoli voluta dalla legge 186/2003. Il fatto che finora si sia avuto – ben quindici anni fa – solo un primo Concorso riservato limita sensibilmente il significato di quella legge. Un nuovo Concorso si rivela, inoltre, indispensabile anche perché attualmente la percentuale nazionale degli insegnanti di religione cattolica in ruolo è molto inferiore al 70% previsto dall’art. 2.1 della legge 186/2003: anche se la legge 175/2015 ha introdotto un massiccio piano di assunzioni, tuttavia questo non ha riguardato questi insegnanti.

Ma come dovrebbe essere secondo voi?

Da lungo tempo si rincorrono voci sulle caratteristiche che dovrebbe avere il prossimo Concorso. Per alcuni un Concorso riservato che possa tutelare soprattutto i docenti con più esperienza per altri un Concorso ordinario che possa riguardare tutti quelli che hanno i titoli per insegnare Religione cattolica. I Vescovi italiani non possono, però, entrare nel merito della scelta della procedura di reclutamento degli insegnanti, sostenendo pregiudizialmente una soluzione in luogo di un’altra: la decisione spetta all’Amministrazione Ministeriale o al Legislatore, dopo un costruttivo e fruttuoso confronto con i Sindacati e con i propri referenti politici. Vi è però una novità.

Quale?

Quella avvenuta il 4 luglio scorso con un incontro del direttore del Servizio per l’Insegnamento della Religione della CEI e i sindacati della Scuola della CISL, CGIL. UIL, SNADIR che hanno convenuto sull’urgenza di una presa di posizione da parte del MIUR e del Governo in merito alla definizione di adeguate procedure di assunzione a tempo indeterminato per il personale docente di religione cattolica che, potrebbero prevedere anche percorsi di carattere “riservato”. Ciò che chiediamo è una uscita rapida dalla situazione di stallo in cui ci si trova, dato che da almeno un anno e mezzo circolano notizie e proposte sull’argomento, ma sembra che non si riesca a convergere verso una proposta unitaria.

 

 

 

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