Cari amici vi scrivo

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di Francesco Inguanti

Da quasi vent’anni Lucio Dalla ci fa cantare

“Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’

E siccome sei molto lontano più forte ti scriverò”.

Lo spunto per stendere la lettera sembra nascere dalla necessità di distrarsi dalla situazione in cui vive in quel periodo. Ma oggi non abbiamo bisogno solo di un po’ di distrazione, perché il contesto della nostra vita non ci consente proprio di distrarci. L’occasione della missiva di Dalla è l’imminente fine dell’anno vecchio che è motivo per rilevare che

… qualcosa ancora qui non va”.

Siamo anche noi quest’anno giunti alla sua fine e vedere qualche aspettativa di miglioramento ci è difficile.

A fronte della tristezza e delle difficoltà al cantautore non rimane che invocare la televisione la quale

ha detto che il nuovo anno

porterà una trasformazione

E tutti quanti stiamo già aspettando

Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno”.

Ma ormai neppure la televisione è in grado di spargere effimere speranze, impegnata com’è a distribuire numeri sempre più drammatici di morti, positivi, intubati e ricoverati. Lucio Dalla giunge fino ad augurarsi un anno pieno di festività in cui si potrà festeggiare il Natale per ben tre volte. Ma chi oggi si sognerebbe di farlo? Anche Natale è diventato un problema per tutti. Una volta era la festa più attesa e più desiderata, in cui tutti potevano gioire, magari solo per un regalo ricevuto o per un pranzo in famiglia.

Tutto ciò per il secondo anno consecutivo ci è stato negato e sarà difficile consolarsi affermando che il prossimo anno sarà certamente migliore di quello che ci lasciamo alle spalle.

In questo contesto mondiale c’è ancora uno sparuto, forse sempre più sparuto, gruppo di uomini e donne che ha la pretesa di affermare che l’unica speranza per vivere degnamente una vita sempre più difficile in ogni emisfero terrestre risiede in un fatto celebrato alcuni giorni or sono, che produce effetti da ben duemila anni.

Eppure la maggioranza degli uomini è più certa che presto o tardi debelleremo il Covid piuttosto che un bambino nato in uno sparuto villaggio del Medio Oriente senza alcuna assistenza sanitaria possa avere questo potere salvifico. Tutti allora come adesso attendiamo un salvatore della nostra vita che innanzitutto vi dia un senso e uno scopo, ma ora come allora avendo già deciso preventivamente il suo identikit non siamo in grado di scorgerlo in una mangiatoia tra un bue e un asino.

Una domanda sorge spontanea: “Perché Dio sceglie ogni anno di far nascere Suo figlio in quella situazione che d’istinto nessuno di noi sceglierebbe”? Quella situazione può essere racchiusa nella parola “umiltà” e in questa parola c’è già la risposta alla domanda. Di umiltà ci sarebbe tanto di bisogno nel mondo, eppure ce n’è pochissima in giro. L’umiltà di ammettere che la scienza non è tutto, che il potere non serve sempre, che il benessere può anche finire, che l’uomo non è il centro del cosmo e della storia.

“Nulla ha il potere di scaldarci il cuore, tanto quanto l’accorgerci di questo Dio che sceglie di “impastarsi” con la nostra pochezza per farne la dimora della Sua potenza, della Sua grandezza”, ha scritto Davide Prosperi in prossimità del Natale. Dio ha deciso così, piuttosto che prendere le fattezze di un super uomo. Possiamo non essere d’accordo e vagheggiare altre attese messianiche, ma con questa che è tra noi da 2000 anni possiamo confrontarci giorno per giorno, cioè confrontarci con coloro che ci credono e ne sperimentano la bontà.

Il super uomo ha la pretesa di salvare e cambiare il mondo, Gesù bambino quella di cambiare il cuore degli uomini. Ciascuno scelga liberamente. Tuttavia prima di scegliere è bene ricordare la promessa che Dio attraverso Suo figlio ci ha fatto ed ha mantenuto, quella di stare con noi, cioè di accompagnarci per tutta la nostra vita. I super eroi dei fumetti dopo avere compiuto la loro buona azione scompaiono e si fanno gli affari propri, magari si confondono nell’anonimato della vita quotidiana, per tornare a presentarsi per un’altra azione eclatante. Quel Bambino è passato alla storia con il nome di “Emmanuele” il Dio con noi.

Ed allora? Allora se si ritiene inutile venerare un Bambino come Salvatore non rimane che ricordare come Lucio Dalla dopo aver vagheggiato un futuro che non verrà conclude la sua splendida canzone che non a caso ha per titolo “L’anno che verrà”

Vedi caro amico cosa ti scrivo e ti dico

E come sono contento

essere qui in questo momento,

Vedi, vedi, vedi, vedi,

Vedi caro amico cosa si deve inventare

Per poterci ridere sopra,

Per continuare a sperare.

Lucio Dalla è contento di esserci, di vivere, è grato alla vita e con la sua solita ironia è disposto anche a riderci su, pur di continuare a sperare.

A noi la scelta su dove porre la nostra speranza, nell’anno che verrà. Solo così potremo augurare buon anno a tutti.

 

 

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