“Unti e inviati”

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di Gualtiero Isacchi

Lodiamo la Trinità Santa, che oggi ci concede d’incontrarci e di stare insieme attorno alla mensa della Parola e dell’Eucaristia per celebrare nuovamente la Messa Crismale. Nelle premesse al Pontificale romano, si legge: “La Messa crismale è quasi epifania della Chiesa, corpo di Cristo organicamente strutturato che nei vari ministeri e carismi, esprime, per la grazia dello Spirito, i doni nuziali di Cristo alla sua sposa pellegrina nel mondo”[1]. Ora, in questa nostra cattedrale, siamo “epifania della Chiesa”.
Le impalcature che occupano lo spazio del presbiterio per i lavori di pulitura e consolidamento dei mosaici, ci nascondono lo sguardo amorevole e penetrante del nostro Cristo Pantocratore, impediscono pure ai sacerdoti di disporsi attorno all’altare, ma non possono offuscare il volto bello della Chiesa monrealese che risplende nel nostro convenire.
Saluto tutti voi, carissimi fratelli e sorelle, consacrati e consacrate, religiose e religiosi, seminaristi e diaconi, e in modo particolare, saluto, i nostri presbiteri che oggi festeggiano l’istituzione del sacerdozio ministeriale al quale, per grazia di Dio, sono stati chiamati. Esprimo un sentimento di commossa gratitudine per voi, cari sacerdoti, che con generosità e dedizione vi spendete quotidianamente a servizio della Chiesa; che abitate le fatiche apostoliche con fedeltà; che siete disponibili ad accogliere la sfida del cambiamento attraverso l’ascolto e il discernimento comunitario che aprono alla novità di Dio.
A tutta la Chiesa monrealese ripeto l’invito di Cristo: «Duc in altum» (Lc 5,4). Siamo chiamati a prendere il largo, ad abbandonare i lidi conosciuti e sicuri per immergerci nella novità di Dio, non come avventurieri impavidi in cerca di glorie e onori, ma come umili discepoli desiderosi di compiere la volontà del Padre per l’edificazione del Regno di Dio, “regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace” (cf. Prefazio Solennità di Cristo Re).
1) In questa missione ci guida la profezia di Isaia, parole che possiamo attribuire a noi stessi: «Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato per portare il lieto annunzio ai poveri» (Is 61, 1).
Questa parola profetica oggi è visibile nei segni dell’olio per l’unzione degli infermi e dei catecumeni e dell’olio profumato del crisma. In essi, considerati alla luce della Bibbia, possiamo trovare tutta l’identità del cristiano il quale, per mezzo dell’effusione dello Spirito è come impregnato della divina presenza, è fatto “tempio” ed è chiamato ad essere nel mondo testimone conforme a Cristo, l’Unto del Signore. Dice Isaia: «mi ha consacrato» e «mi ha inviato»: unti e inviati, questo binomio è senz’altro inscindibile.
Una unzione che non si mette in missione, non è più tradere (trasmettere), ma tradire. Guai, quando l’unto non intraprende la missione e vive da “impiegato del sacro” come spesso ha ripetuto Papa Francesco[2]. Il suo profumo svapora ed egli diventa sale scipito. Nessuno trova gusto ad ascoltare la sua parola, a stargli accanto e vivere nella sua compagnia. Ciò, lo sappiamo, vale per ogni unzione: battesimale, crismale, sacerdotale ed episcopale; vale per ogni vocazione nella Chiesa, vale per ogni cristiano, fedele laico, persona consacrata o ministro ordinato che sia. Non è vero che Cristo non interessa al mondo di oggi, è piuttosto probabile che i credenti siano diventati poco attraenti e la loro compagnia poco saporita.
2) «Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato per portare il lieto annunzio ai poveri». Insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica che mediante l’unzione battesimale “siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo; siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione” (CCC 1213). Il cristiano che accoglie l’invito alla missione non è mai “battitore libero”: diffidate dai “fuori classe” della preghiera e dell’evangelizzazione! Il cristiano autentico cammina insieme alla comunità, fuggendo la tentazione di pensare di aver capito tutto, di sentirsi il migliore, di avere la visione più giusta: era questa la convinzione di Giuda, e nonostante fosse convinto delle sue buone intenzioni non ha potuto fare altro che tradire. La sinodalità, il camminare insieme, è il potente antidoto a questa deriva di autosufficienza.
Il Concilio Vaticano II, poi, ricorda: “quelli che credono in Cristo […]. Giustificati nel Battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo, e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti come fratelli nel Signore” (Unitatis redintegratio, 3). La fraternità, quindi, non è una priorità pastorale, ma è realtà imprescindibile, essenziale, ontologica del nostro essere battezzati. Vi esorto a prodigarvi nel vivere questa dimensione facendovi tessitori di fraternità: senza una fraternità desiderata, cercata e vissuta non può esserci missione feconda e la nostra unzione è resa vana.
3) Concludo raccogliendo dagli oli che fra poco saranno benedetti e consacrati il suggerimento di tre verbi e, quindi, tre azioni che vorrei caratterizzassero il nostro fraterno camminare insieme.
L’olio degli infermi ci suggerisce il gesto amoroso e compassionevole con cui dobbiamo servire i fratelli, la delicatezza con cui dobbiamo curarne le ferite, la comprensione per le altrui debolezze, la volontà di fare davvero del nostro ministero una cura.
L’olio dei catecumeni ci rammenta il compito di sostenere nei fedeli l’assunzione degli impegni di vita cristiana; se ripensiamo alla nostra personale esperienza, non sarà difficile riconoscere la presenza di figure che ci hanno accompagnati nel cammino di scoperta della fede. L’olio dei catecumeni ci ricorda questo compito: accompagnare nel cammino chiunque ci domandi ragione della nostra speranza (cf. 1Pt 3,15). A tal proposito, vi invito ad accompagnare con la preghiera i nostri 9 catecumeni che nella prossima solenne Veglia di Pasqua e nei giorni successivi saranno unti e inviati.
Il santo crisma, infine, ci ricorda che lo Spirito del Signore è su di noi e ci rende capaci di portare a compimento il dono ricevuto. Può accadere che l’unzione ricevuta, rimanga un certificato riposto in un cassetto, oppure una celebrazione che non si trasforma in vita. Questo olio ci ricorda, insieme al nostro essere cristiani, anche il dovere di fare i cristiani, cioè di agire da cristiani facendo del vangelo la nostra unica regola di vita.
Ecco, dunque, i tre verbi che consegno a tutti voi perché caratterizzino il nostro essere e fare Chiesa: curare, accompagnare, testimoniare.
San Castrense, nostro Patrono, ci sostenga in questo camino di Chiesa.

 

 

[1] Pontificale Romano, Benedizione degli Oli e Dedicazione della Chiesa e dell’Altare, pag. 10.
[2] Papa Francesco, Discorso ad un gruppo di sacerdoti ispanici, 16 novembre 2023.

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