NELLA STANZA BIANCA. La mia Pasqua capovolta

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di Francesco Inguanti

Il 2 aprile del 2020 il vescovo mons. Calogero Peri viene ricoverato all’ospedale “Gravina e Santo Pietro” di Caltagirone perché affetto da Covid. Vi rimane fino al 3 maggio. Poi si trasferisce in un centro di riabilitazione per alcuni mesi e solo a luglio torna in Vescovado per riprendere l’esercizio del suo Ministero.

Questa esperienza, molto dura e significativa, come tante altre sono accadute in Italia e nel mondo nell’ultimo anno, è raccontata e testimoniata in un gradevole e agile libretto che raccoglie documenti di vario genere frutto di quei lungi mesi dal titolo: “NELLA STANZA BIANCA. La mia Pasqua capovolta”, edito dal “Il pozzo di Giacobbe”.

Il volume che si apre con l’intervista rilasciata da Peri a Lilli Genco, giornalista e direttrice dell’ufficio Comunicazioni sociali della Diocesi di Trapani, ripercorre soprattutto il periodo trascorso in ospedale dal presule. Ne emerge il ritratto di un uomo colpito come tutti dalla paura e dalla fatica che cerca e trova nella fede la forza per affrontare una condizione umana imprevista e imprevedibile.

Così ne descrive alcuni tratti: “La malattia mi ha fatto fare un salto: dal ragionamento all’esperienza. In pochi giorni ho vissuto un tempo che ha trasformato e trasfigurato la mia vita nelle sue relazioni fondamentali: con me stesso, con gli altri, con il mondo e con Dio”.

Molto commovente la descrizione della sua stanza di ospedale: spoglia, arredata dal letto, la valvola per l’ossigeno e un tavolino. A fargli compagnia per un mese un crocifisso. “Le pareti della mia camera erano quasi completamente spoglie. C’era solo un minuscolo crocifisso. Lo osservai: era il crocifisso di san Damiano, uno di quelli di scarsa qualità, di segatura pressata, così piccolo da sembrare un puntino, ma ben riconoscibile. Quel crocifisso, così importante nella vita di san Francesco e di tutti i miei fratelli francescani, risaltava sulla parete vuota segnando in modo nuovo e inaspettato la mia vita di uomo, frate e vescovo, nell’isolamento di quei giorni”.

L’intervista ripercorre tutti i pensieri, le domande, anche quella sulla morte, che hanno attraversato il vescovo. Forse la più drammatica è quella sulla nudità. Dice infatti: “Questa nuda certezza unita alla consapevolezza della precarietà della vita, mi stava spogliando di tutto: mi sono ritrovato nudo. Ero immerso in un silenzio che mi lasciava nudo: nudo pensiero, nude domande, come fossi tornato all’origine della mia vita. L’essere rimasto nudo, pronto ad una nuova nascita, stava però affinando il mio sentire, qualcosa che saliva dal profondo della vita m’interrogava carico di promettente novità. Dentro stavo cambiando. Le mie preoccupazioni si relativizzavano, i pensieri da pensati diventavano più vissuti”.

Il periodo trascorso in ospedale è coinciso per mons. Peri con quello pasquale. Il libro raccoglie anche le sue riflessioni sulla Pasqua inviate attraverso il cellulare, frutto della particolarissima condizione in cui viveva. In particolare sono riportate quelle del lunedì, martedì e mercoledì santo, e quelle del giorno di Pasqua. Rilette in questo periodo quaresimale aiutano tutti a comprenderne il senso e la particolarità, tenuto conto che le condizioni generali in cui tutti viviamo non sono molto cambiate. Commenta così la sua Pasqua del 2020 in un testo inviato il 19 aprile. “Lasciamo che ce la dia Lui. … Quest’anno ho capito che ci ha messo dentro di più, ha alzato la posta in gioco. Ha pensato proprio a tutti e a tutto, senza distinzioni. Si è fatto un bel giro, per farci stare fermi e muoversi soltanto Lui. Ci ha ricordato che le liturgie vanno bene anche così: senza folla e senza canti, senza fiori e cori, senza tutto quello che già conosciamo ed amiamo. Questa è la novità di questa Pasqua che non avevamo considerato a dovere”. E approfondendo questo pensiero aggiunge: “Questa volta, invece, riprovandoci ancora, almeno l’avessimo capito, ci ha portato e regalato l’essenziale. Ci ha regalato Sé stesso e i fratelli con le loro paure, uguali o peggiori e maggiori delle nostre”.

A questo scritto ne segue uno datato 18 aprile 2020 dal significativo titolo: “La storia non è ancora finita. Scampoli di una storia incompiuta, anzi infinita”, una sorta di sguardo verso il dopo, quando ancora l’oggi non si era del tutto compiuto.

Concludiamo riportando alcuni brani sul tema del “ritorno alla normalità”. “La normalità è davanti a noi, non dietro, e comporta un cambiamento, una conversione rispetto ai valori e agli stili di vita che abbiamo sedimentato: si tratta di pensare e fare diversamente a come abbiamo sempre pensato e fatto e in modo globale, umano e immediato, uscendo verso una nuova concretezza e delegando alla vita. … Se ci rifugiamo nel mito del ritorno alla normalità rischiamo di diventare peggiori di quello che eravamo: abbiamo bisogno invece di una seria riflessione su ciò che abbiamo riscoperto come essenziale. In fondo il virus è come se avesse “smazzato” le carte delle nostre sicurezze, del nostro senso del potere, dei nostri progetti e delle nostre priorità”. E poi poco oltre conclude: “Se non riusciremo ad apprendere i contenuti del cambiamento e dell’incertezza, la reazione inconscia dirotterà il timone sulle nostre paure che resteranno come cicatrici … Il virus ci ha costretti a fare alcune cose, ora dovremo invece pensare cose nuove avviando un grande processo di metabolizzazione collettiva”

L’attualità di queste parole è evidente. Sembrano scritte oggi. Ecco perché questa drammatica esperienza umana diventa universale, anche per i fortunati che non l’hanno attraversata. Anche per questo la lettura in tempo di Quaresima di questo testo può aiutare tutti noi.

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