Grazie ai social network abbiamo mantenuto o costruito reti di persone, che sono diventati luoghi di relazione

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Don Manlio Savarino è Parroco dell’Unità Pastorale Ss. Annunziata – Sant’Antonio Abate di Ispica

 Di Francesco Inguanti

Don Manlio, che effetto le fa vedere da due mesi la sua parrocchia “chiusa”?

La domanda arriva in un tempo piuttosto particolare, che definirei di revisione del ministero di sacerdote, della vita personale e della concezione del nostro essere Chiesa. Fa un certo effetto la situazione dettata dalla pandemia perché ciò che fa la Chiesa, la comunità, sono innanzitutto i rapporti, gli incontri, gli sguardi che si incrociano. Questo principio in questo tempo particolare viene meno, e allora devi recuperare in modo diverso, devi cambiare modalità di azione e di prossimità. Fa un certo effetto vedere tutto vuoto… ci si ritrova a fare i conti con sé stessi più che con una missione esterna. Ma è anche vero che da questa situazione possono venire fuori le iniziative più belle e fantasiose.

Come l’hanno aiutata i mezzi di comunicazione (telefono e web innanzitutto) per continuare i rapporti con i parrocchiani?

Certamente i mezzi di comunicazione sono stati la carta vincente di questo periodo e continuano ad esserlo. Li abbiamo riconsiderati e rivalutati e abbiamo accolto quella che forse è la vera vocazione di questi strumenti della tecnologia, perché hanno reso possibile il raggiungimento dei cuori dei parrocchiani. Certo, da un altro punto di vista, potremmo dire che essi limitano ciò che è essenziale, il ‘faccia a faccia’, che è il luogo della verità. Ma se consideriamo la situazione nella quale ci siamo trovati all’improvviso, i social network hanno offerto la possibilità di mantenere o costruire reti di persone, divenendo luoghi di relazione, luoghi di attenzione e strumenti per farsi vicino all’altro.

C’è un settore che non può essere fermato: quello della carità. Come ha affrontato le problematiche che ne sono connesse?

Il settore caritativo, lo slancio della carità non potrà mai fermarsi nella vita di un cristiano e dell’intera comunità. La carità è ciò che dà vita alla comunità e dentro questo tempo ho avuto modo di riscontrare quanto veramente lo Spirito abbia lavorato nell’intimità più profonda di tante persone. La vera carità non è pubblicità, non è una carità manifesta. Gesù stesso lo dice: “mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. La carità in questi giorni si è attuata come vocazione del cristiano, come fantasia della carità, luogo nel quale esprimere una dimensione ben più profonda, che è la dimensione spirituale. Abbiamo avuto modo di assistere ad una carità spirituale, che parte dal di dentro, che non si tinge di apparenza farisaica. Non sono mancate tante presenze belle di persone che si sono messe subito in attività, prodigandosi fin da quando sono uscite le prime restrizioni per accompagnare e servire soprattutto i più anziani che non potevano spostarsi da casa. Non posso non menzionare l’Arciconfraternita della Parrocchia Sant’Antonio Abate, così come durante la Settimana santa l’Arciconfraternita della Parrocchia Ss. Annunziata. Entrambe le Arciconfraternite hanno favorito il costituirsi di questi luoghi caritativi. Il tempo dell’isolamento ha ridato un volto nuovo all’intera comunità, che si è ripensata alla luce dell’attenzione verso coloro che sono i più poveri, perché spesso i più poveri sono i più nascosti.

L’esperienza del catechismo è continuata seppur a distanza? E come?

L’esperienza della catechesi è continuata a distanza e si è anche evoluta, perché abbiamo usato tutti i mezzi a nostra disposizione per poter raggiungere, ad esempio, i più giovani. Whatsapp è stato il mezzo più immediato, e poi gli incontri su Zoom, Meet, tutti mezzi che consentono di raggiungere ragazzi e giovani, seppur non in presenza. È stato bellissimo poter constatare come ciò che fa davvero la catechesi parte da un desiderio. E allora abbiamo cercato di stimolare questa esigenza e ci siamo fatti dire dai ragazzi cosa desideravano. È nata l’idea dell’oratorio virtuale, che ha consentito di incontrarci di sabato in sabato e di coinvolgere anche i genitori. Così sono nate caccie al tesoro con finalità ben stabilite, con il ritrovamento di “tesori” che lasciassero il segno in questo tempo particolare. La domenica abbiamo anche proposto a ogni famiglia dei testi e dei video per poter vivere la famiglia come chiesa domestica nella quale si attua l’essenziale di un incontro, la condivisione del Vangelo che fa scorrere energia vitale al suo interno. Quindi, potremmo dire che il tempo presente ha sollecitato la catechesi, dandole quel di più che forse oggi richiede l’evangelizzazione.

Come hanno vissuto queste settimane i suoi parrocchiani? L’appartenenza alla comunità cristiana della parrocchia come li ha aiutati?

Sono stati giorni difficili un po’ per tutti. Ciò che ho potuto riscontrare è stata una maggiore unità nelle parrocchie, unità nata da una mancanza, quella dell’Eucarestia, della festa domenicale. Una mancanza che è stata solo attenuata dai mezzi di comunicazione che ci hanno permesso ogni giorno di far vivere l’Eucarestia, seppur a distanza, a tante famiglie e a tanti fedeli. L’esigenza maggiore della mensa eucaristica l’ho riscontrata tra i parrocchiani più anziani, coloro che non hanno la possibilità di usare i mezzi di comunicazione.  È stato bello poter raggiungere loro attraverso iniziative messe in atto dalla Caritas, in primis la visita, anche estemporanea. Abbiamo consegnato immaginette con preghiere elaborate per questo tempo di pandemia, cercando di vivere la vicinanza soprattutto durante la Settimana santa e il Triduo pasquale. Pertanto, l’esperienza più bella che abbiamo vissuto è stata quella di poterci ritrovare sempre come comunità viva, che continua a volersi bene nel Signore Gesù nonostante restrizioni e impedimenti. È quello che stiamo scoprendo in questo tempo di Pasqua, nel quale abbiamo la possibilità di condividere ciò che il Signore suggerisce, e di farlo sulla base dei carismi. Lo sto riscontrando nei vari gruppi, dove la creatività di ciascuno sta venendo fuori nel migliore dei modi. E allora viene fuori anche la bellezza di una comunità che è l’espressione della varietà di carismi e di risorse. È questo che fa la comunità: la differenza nell’unità. non solo la chiesa, ma soprattutto i locali parrocchiali privi di bambini e adulti?

Vi sono esperienze accadute in questo periodo particolarmente significative che ha avuto modo di conoscere?

Sì, potrei raccontare tante esperienze. Nella nostra Ispica c’è una devozione particolare per i riti della Settimana santa. Il fatto che mi ha maggiormente commosso è stato la riscoperta del cuore delle cose, del cuore dei riti, quel cuore che è dentro il cuore di ogni cristiano, potremmo dire. Il Venerdì santo mattina ho avuto modo di avvertire, nonostante l’impossibilità per la gente di accedere all’Annunziata, la vicinanza, il trasporto dei fedeli che non potevano contemplare il simulacro del Ss. Cristo che porta la croce, o che potevano farlo solo attraverso la televisione e facebook. Guardare l’immagine del Cristo sofferente rimanda a una realtà profonda, e proprio in questo ho avuto modo di riscontrare la bellezza del desiderio di una pace interiore che si può scoprire solo stando a contatto con il Signore, colui che dà senso pieno alla vita. Potrei raccontare tanto, ma mi limito a comunicare questa percezione. Tutto il resto viene come conseguenza dell’essere con Gesù, per Gesù e in Gesù

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