di Francesco Inguanti
Pubblichiamo l’intervista concessa da don Francesco Venuti, parroco della parrocchia SS. Maria Annunziata di Gaggi (Me)
Come sta vivendo la nuova situazione determinata dall’emergenza coronavirus?
Dal 9 marzo anche nella parrocchia SS. Maria Annunziata di Gaggi (Me), ove da più di nove anni sono parroco, sono cessate tutte le attività pastorali e le celebrazioni con il concorso del popolo Santo di Dio. Ciò che ho provato in queste lunghe settimane, soprattutto nei giorni della Settimana Santa, è quello che – sicuramente – ogni sacerdote ha sperimentato: disorientamento o, per utilizzare lo stato d’animo dei due discepoli di Emmaus, che ci hanno accompagnato in questa III domenica di Pasqua, anch’io davanti a quei banchi vuoti e al silenzio assordante mi sono trovato spesso, non lo nascondo, col volto triste, smarrito. Consapevole che spiritualmente ho sentito davvero tutti vicino, ho celebrato sempre pro populo e ho compreso ancor di più il forte legame che c’è tra pastore e gregge.
Come l’hanno aiutato i mezzi di comunicazione?
Non è mancato il buon utilizzo dei mezzi di comunicazione. Quotidianamente cercavo di sentire, a turno, gli operatori pastorali, persone anziane, famiglie e ammalati. Con l’aiuto di due giovani, ho avuto modo di celebrare ogni domenica e nelle Solennità di S. Giuseppe dell’Annunciazione del Signore, oltre che tutti i riti del Triduo Pasquale, in diretta streaming la S. Messa. E ogni giorno, dopo l’Eucarestia che celebravo da solo a porte chiuse, ho garantito, sempre in diretta, la preghiera del S. Rosario o momenti di Adorazione.
Come avete fatto fronte all’emergenza caritativa?
Anche l’attività caritativa non si è fermata, eco di quanto S. Paolo ci ricorda: la carità non avrà mai fine. Da quando è scattata anche per noi l’emergenza sanitaria, ho ritenuto opportuno che ci fosse un dialogo ancor più proficuo tra le Istituzioni locali. C’è un servizio, discreto e attento, ai bisogni di tutti portato avanti in perfetta sintonia da Comune e Parrocchia, per venire incontro ai bisogni di diverse famiglie in difficoltà, garantendo generi di prima necessità e offrendo gesti di sostegno economico.
E con la catechesi come vi siete organizzati?
L’emergenza e le misure drastiche di contenimento del virus sono piombate letteralmente su di noi che non abbiamo avuto nemmeno il tempo, per certi versi, di rendercene conto. E lo smarrimento, cui facevo riferimento oltre al mio ha invaso i cuori di tanti genitori e catechisti. Non abbiamo continuato, con l’utilizzo di qualche piattaforma, la catechesi ma fino ad oggi sono stato raggiunto da una mamma che, tramite foto, condivideva con me la sua gioia nel vedere che anche la figlia, nella sua cameretta, imitando i suoi genitori, ha preparato il suo angolo di preghiera, dove non manca la Bibbia illustrata per i bambini e che, mi diceva, ogni sera legge. Questo già per me è un segno positivo, perché so che in tanti ne hanno sentito l’esigenza. Intanto, i nostri catechisti cercano di ottenere un dialogo costante con i ragazzi della catechesi.
Come hanno vissuto queste settimane i suoi parrocchiani?
I miei parrocchiani, hanno puntato, tramite i mezzi di comunicazione, cuore e occhi sulla comunità parrocchiale. Hanno seguito quotidianamente i momenti semplici di preghiera e di Adorazione, oltre le Celebrazioni Eucaristiche, soprattutto nella Settimana Santa. In molti, con il bisogno di chiedermi anche come stavo o se avevo bisogno di qualcosa, hanno manifestato gratitudine perché anche in questa particolare situazione mi hanno sentito vicino e sono stati raggiunti dal calore della preghiera.
Cosa riporta di significativo di queste settimane?
Tra le cose significative sicuramente vanno evidenziati i gesti concreti di alcune famiglie che, in alimenti o in denaro, hanno pensato, per il tramite della parrocchia, a chi può trovarsi oggi nel bisogno. Ma una esperienza ancora più particolare vorrei condividerla. Dalla fine del 2013, oltre all’ufficio di parroco, svolgo quotidianamente il mio ministero sacerdotale, in qualità di Cappellano, presso l’ospedale San Vincenzo di Taormina. La cosa che ha riempito di gioia il mio cuore è vedere come in questo periodo in cui gli ospedali sono “blindati” (i malati non possono ricevere visite nemmeno dei propri familiari), medici e infermieri non hanno mostrato solo la loro professionalità ma il loro grande cuore, la loro umanità, diventando per i malati, quel marito o quella moglie, quel figlio o quella figlia, quel fratello o quella sorella, che in questo momento di sofferenza, nemmeno in punto di morte molte volte, hanno potuto, a causa delle rigide restrizioni, fare sui loro cari una carezza.