Il Meeting di Rimini rende omaggio al beato Pino Puglisi

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di Francesco Inguanti

La 44esima edizione del Meeting di Rimini ha reso omaggio al Beato Pino Puglisi con un incontro che ha appassionato e commosso migliaia di persone presenti a Rimini e tantissime collegate a distanza. Sono stati invitati a testimoniare e raccontare l’impegno e il martirio del prete di Brancaccio Antonio Balsamo, Magistrato, e S.E. Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo di Palermo. L’incontro è stato introdotto da Salvatore Taormina, che fa parte della Redazione Culturale del Meeting per l’amicizia fra i popoli, e moderato da Vincenzo Morgante, Direttore di TV2000.

Salvatore Taormina ha introdotto la conversazione ricordando che proprio negli anni della esperienza parrocchiale di Puglisi, ucciso da mandanti di primo piano della mafia del momento, i fratelli Glaviano, vi erano a Palermo ben quattro sacerdoti che avevano avuta assegnata dalla Prefettura la scorta della sicurezza pubblica. Questa piccola ma significativa precisazione ha consentito da subito per far comprendere come la c. d. “antimafia” di Puglisi non fosse ideologica.

L’arcivescovo Corrado Lorefice ha potuto così più volte tornare e ribadire come Puglisi fosse un sacerdote innamorato di Cristo e servitore della Chiesa locale. “Non aveva in mente di essere un prete antimafia – ha detto con chiarezza – ma di essere un cristiano convinto che la storia è riscattata dal male”. Ed a rafforzare il concetto ha citato la recentissima lettera che papa Francesco gli ha inviato, e per suo tramite a tutta la comunità diocesana, in occasione del trentennale della sua uccisione, che ricorrerà il prossimo 15 settembre.

In essa il Papa dopo aver definito don Pino: “sacerdote buono e testimone misericordioso del Padre”, ne ha assimilato la figura a quella del “buon pastore”, perché: “Sull’esempio di Gesù, Don Pino è andato fino in fondo nell’amore. …: i suoi ragazzi, che conosceva uno ad uno, sono la testimonianza di un uomo di Dio che ha prediletto i piccoli e gli indifesi, li ha educati alla libertà, ad amare la vita e a rispettarla”.

Molto toccante anche la testimonianza del Magistrato Antonio Balsamo che ha raccontato del percorso fatto dai due sicari, per giungere al pentimento. “Quando, più di venti anni dopo, abbiamo interrogato i due killer che lo hanno assassinato, Salvatore Grigoli e Gaspare Spatuzza, il primo ha detto, con una espressione impossibile da dimenticare sul volto, ‘ho ucciso un santo’; il secondo ha spiegato che la sua scelta di collaborare con la giustizia nacque durante una messa celebrata in carcere, dove ‘c’erano proprio dei riferimenti di don Puglisi. Bellissimi perché nella sua preghiera diceva che Dio non forza il cuore di nessuno, quando il cuore è pronto si aprirà tranquillamente’, ed ha aggiunto: ‘undici anni di 41 bis mi hanno dato la possibilità, l’opportunità, di essere oggi la persona che sono. Personalmente dico che quegli undici anni di 41 bis sono stati benedetti’.

Filo conduttore dell’incontro è stato il sorriso del Beato che tutti hanno ricordato e evidenziato citando varie circostanze di incontri personali con lui in cui la sua serenità e la sua determinazione era in grado di vincere ogni minaccia o difficoltà, anche la tragica sera in cui incontrò i suoi uccisori che accolse con l’ennesimo sorriso e la consapevolezza che fosse giunta la sua ora, affermando: “Me lo aspettavo”.

Anche Vincenzo Morgante che conobbe don Pino grazie alla sua futura moglie che era sua allieva, ripercorrendo alcuni momenti significativi della sua esperienza professionale, in quegli anni nella sede regionale della Rai siciliana, ha ricordato con evidente commozione, i momenti seguiti alla sua uccisione e lo scoramento che colpì tutta la società palermitana che certamente non ipotizzava un omicidio di tale portata.

In conclusione dell’incontro Morgante ha chiesto a Balsamo quali sono stati a suo giudizio i veri motivi dell’uccisione del parroco di Brancaccio. “Don Pino – ha aggiunto il magistrato – viene colpito da Cosa Nostra perché si vuole spezzare il suo disegno di risanamento morale e sociale che passa attraverso la mobilitazione delle migliori energie della società civile, lo stesso lavoro intrapreso da persone come Piersanti Mattarella e Salvatore Pappalardo che distruggeva dalle fondamenta il consenso sociale della mafia proprio nelle zone più difficili di Palermo. Un sorriso che aveva una portata rivoluzionaria”.

Lorefice ha concluso ricordando l’impegno che la Chiesa siciliana, e con essa tutta la Chiesa italiana, ha prodotto nella lotta e nel contrasto alla mafia, ricordando il grido di San Giovanni Paolo II nella Valle dei templi ad Agrigento, pochi mesi prima dell’uccisione di Puglisi, quando invitò i mafiosi alla conversione. Un messaggio ripetuto, con altri toni, da papa Francesco cinque anni fa quando disse: “fratelli mafiosi convertitevi, se continuate così accumulerete la peggiore delle vostre sconfitte”. “Lo specifico dei cristiani – ha spiegato mons. Lorefice – è che dobbiamo conservare le stesse viscere di misericordia del Signore, dinnanzi alla sofferenza e all’oppressione non solo ci indigniamo ma ci coinvolgiamo. E ci coinvolgiamo con tutti quelli che sono ancora capaci di avere viscere di misericordia. Questo è il compito che il papa affida alle comunità cristiane di Palermo e a tutti”.

L’incontro si è concluso con uno scrosciante appaluso dei presenti come riconoscimento della testimonianza di un uomo semplice, che ha consegnato anche la sua vita al Signore.

 

 

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