Non dimenticate il desiderio: l’invito di Anas a 20 nuove famiglie

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di Francesco Inguanti

Accade di frequente che dei giornalisti decidano di pubblicare un volume con i propri articoli più significativi. Altrettanto facevano una volta, ora molto meno, i politici stampando i propri discorsi. Antesignani in questa attività sono sempre stati i sacerdoti ed in effetti vi sono splendide pubblicazioni di omelie divenute celebri nel tempo.

Il volume “Non dimenticate il desiderio. L’eredità di don Anas: dialoghi sul matrimonio” San Paolo, si colloca in questo alveo, ma è decisamente originale ed in qualche modo irripetibile. Certamente per il contenuto, di cui diremo dopo, ma anche per la scelta di unire alla pubblicazione delle omelie i “commenti” di una giornalista, Marina Corradi.  Ma, si badi bene, non sono commenti esegetici o catechetici, quanto “reazioni” spontanee e talvolta positivamente emotive, di una persona a lui strettamente legata per le vicende umanissime e talvolta dolorosissime, ben evidenti tra le pagine del libro.

Ad allora è giunto il momento di parlare dei due “coautori”.

L’Anas di cui al sottotitolo, è don Antonio Anastasio, classe 1962, milanese di nascita e sacerdote della Fraternità sacerdotale dei missionari di san Carlo Borromeo. Dopo aver prestato il proprio ministero in varie nazioni è andato in una parrocchia di Madrid nel 2003 ove è rimasto per dieci anni, quando è arrivato a Milano per fare il cappellano alla università Bovisa e il vice parroco di san Carlo alla Ca’ Granda.

Marina Corradi è editorialista di Avvenire, dove è giunta dopo aver lavorato al quotidiano La Notte e successivamente a La Repubblica. Numerosi i libri che ha scritto e i premi che le sono stati conferiti.

Il primo incontro tra i due protagonisti del libro avviene a Roma dove la giornalista è inviata dal direttore di Avvenire per fare una intervista a questo giovane prete fino a quel momento a lei sconosciuto. L’intervista farà parte poi del libro Innanzitutto uomini che raccoglie le storie di 15 giovani sacerdoti. Nella prefazione lo ricorda così: “Ti ho sentito subito affine, benché le nostre vite fossero molto differenti, per un certo sguardo sul mondo”. (Pag. 7). E subito la scoperta di una comune passione per le strisce di Peanuts. Prosegue il racconto con il successivo incontro del 2003: “… ti ho ritrovato con la Fraternità san Carlo a Fuenlabrada, periferia di Madrid. Eri parroco di una grande chiesa nel centro di una indescrivibile Babele: immigrati di cento etnie diverse da tutto il mondo … non uno dei ragazzini negli sparuti parchi giochi parlava la stessa lingua dei compagni”. L’incontro è per la giornalista choccante e non può fare a meno di chiedersi “come diavolo facevi a restare lì? Io ogni tanto controllavo con la mano di avere, nella tasca della giacca, il biglietto di ritorno.”.

La storia continua e pochi anni dopo Pietro, il figlio di Marina, comunica alla madre che un nuovo cappellano è giunto al Politecnico. Quando lei gli chiede il nome si sente rispondere: “Antonio Anastasio, ma lo chiamano Anas”. La reazione di Marina è immediata e spontanea: “Sussultai: Anas a Milano? Ti cercai subito” (pag. 10).

L’amicizia si approfondisce soprattutto attraverso i messaggi di WhatsApp, tutti riportati dalla pag.11 alla pag.19, raro esempio di profondità ed essenzialità comunicativa. Ma poco prima del Natale del 2020 Anas è colpito dal covid e il 9 marso del 2021conclude la sua vita terrena.

Alla notizia del decesso la reazione di Marina è umanissima e drammatica: “Non era possibile. Non tu. Non il fratello che mia aveva da poco adottata. Ho passato ore dentro una rabbia cupa e silenziosa: come se Dio mi avesse tradita”.

Già con queste poche pagine si potrebbe pubblicare un libro di meditazione utile anche per ripensare a quanto accaduto a tutti noi a causa del Covid. Ma ora veniamo al contenuto del libro.

Le circa 150 pagine che rimangono raccolgono i testi di 20 omelie di don Anas, tutte svolte in occasioni di celebrazioni di nozze. La spiegazione è a pag. 24. “Nella sua intensa attività missionaria, Anas ha dedicato una cura particolare alle coppie di giovani sposi, accompagnando il cammino dei fidanzati, celebrando molti matrimoni, seguendo i primi passi di tante famiglie”.

Le omelie sono raccolte in ordine cronologico e vanno dal 9 marzo del 2019 al 12 dicembre 2020. Hanno tutte uno schema logico, che parte sempre dal commento ai brani scelti dagli sposi per la Messa (il resto lo lasciamo alla scoperta del lettore), ma soprattutto affrontano volta per volta un tema o un spetto della vita matrimoniale.

Il tema del desiderio, che dà origine al titolo del libro, è affrontato nel matrimonio di Sofia e Riccardo (pag. 111) a partire dal brano dei discepoli di Emmaus (Lc. 24,13-35) “che dice quanto sia necessaria, per vivere, una confidenza ragionevole riposta nel Signore”. Anas spiega loro che tutti vivono con un desiderio, ma questo, quando non è posto nel Signore, diviene menzogna e aggiunge che coloro che pensano così non si rendono conto che “la risposta al desiderio del loro cuore non sta in loro stessi”. Quindi passa alla domanda diretta agli sposi: “Voi dunque, Sofia e Riccardo, in chi avete visto il compimento della vostra attesa? Dove avete sperimentato una presenza all’altezza dei vostri desideri più profondi”? E senza sottrarsi alla risposta prosegue:” Gesù si è posto come il compimento alla vostra attesa. Tornate a sperimentarlo tutte le volte che lo cercate con verità attraverso i segni nei quali Egli si manifesta … Non dimenticate il vostro desiderio! Non scordate mai, anche nel futuro, la grandezza della vostra attesa”.

In occasione del matrimonio di Letizia e Tommaso (pag. 65) Anas affronta il tema dell’ascolto che assimila figurativamente alla campana di un monastero: “Quando l’aria è attraversata dal suo suono, tutti si devono fermare”. E poi spiega: “La prima campana suonata nella nostra vita per dirci di ascoltare è stata la comunità cristiana. La comunità cristiana è la prima regola, il primo punto di richiamo, il ricordo permanente di come tutto sia legame con Dio. La seconda campana, … è il dialogo personale col Signore”. Ben consapevole di indicare una strada non facile chiarisce: “Ciò non significa che l’obbedienza a Lui sia un’esperienza comoda. Non bisogna pensare, cioè, che la vita cristiana corrisponda al cuore perché rende tutto semplice. I sacrifici restano, il lavoro resta, le fatiche restano … Tutto però acquista un senso, tutto si rivela fattore di costruzione e di salvezza, tutto si ritrova pervaso da un amore dolce e grande”.

Con Chiara ed Emanuele (pag. 145) affronta il tema dell’ansia, prendendo spunto dal brano di Matteo (6,25-34) da loro scelto in cui Cristo dice: “Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete …”. L’ansia delle persone del nostro tempo risiede per Anas nell’avarizia e nell’idolatria, perché “all’uomo che spera solo nei propri progetti, la realtà prima o poi presenta il conto, facendo emergere l’insoddisfazione, l’angoscia, la paura e la depressione”. L’omelia è un invito all’essenzialità. “Possiamo essere poveri di tutto, se siamo ricchi dell’essenziale e dell’eterno, cioè se siamo radicati in Dio”.

Con Giulietta e Francesco affronta il tema della comunione nella Chiesa; con Anna e Simone quello della fedeltà ai segni di Dio attraverso la figura di San Giuseppe; con Caterina e Andrea quello della misericordia, che è una sorta di file rouge che attraversa tutti i testi riportati nel libro, con Francesca e Marco, quello del riposo, come fonte di virtù. Gli altri temi si possono facilmente individuare scorrendo velocemente l’indice.

Tutte queste riflessioni sono “condite” con quelle di Marina Corradi, nelle quali si rivolge direttamente all’amico Anas ormai in cielo per condividere la sua fede, messa a dura prova dalle tante vicende della sua vita e della sua famiglia di origine, di cui lei ha ampiamento parlato in alcuni suoi libri.

Circa due anni prima di morire Anas aveva scritto a Marina questo pensiero: “Santità non è dare tutto, ma lasciare che Lui si prenda tutto. Puoi offrire ogni volta che ti sembra che Lui stia prendendo … è l’offerta più valorosa”. Marina così commenta: “Allora ho pensato che Cristo, in quei mesi di coma, ti abbia chiesto tutto: Tu potevi dire di no, e guarire e tornare fra noi. Ma, io credo, tu hai detto sì: ‘D’accordo, ecco la mia vita, prendila’ E tu Anas, hai detto sì, hai liberamente dato tutto a Cristo. Solo in questo pensiero mi sono un po’ pacificata” (pag. 20).

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