Fratel Biagio testimone di fede e di carità vissuta

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di Mons. Michele Pennisi, Vescovo emerito di Monreale

Fratel Biagio Conte è morto a 59 anni. Più di metà di questi li ha trascorsi a pregare e a servire giorno e notte i poveri, senza un attimo di pausa. Una scelta consapevole, fatta dopo una giovinezza spensierata e tormentata come quella di Francesco d’Assisi e una dolorosa conversione alla fede cristiana. Già questo basterebbe, come già qualcuno ha fatto, ad avanzare la richiesta per proclamarlo santo. Per tutto ciò è sufficiente affidarsi alla sapienza della Chiesa, quella stessa Chiesa che lui ha amato e servito con convinzione e dedizione per tutti questi anni.

Forse è opportuno interrogarsi fin da ora come la sua testimonianza innanzitutto di cristiano devoto interroga la nostra esperienza umana e cristiana, soprattutto di quanti fra noi hanno avuto la fortuna di conoscerlo personalmente; ed io sono tra questi.

L’incontrai per la prima volta nel 2003, quando si tenne a Palermo la Marcia nazionale per la pace e rimasi colpito perché era su una sedia a rotelle. Poi l’ho rincontrato nell’estate del 2014 al Rimini al Meeting dell’amicizia dei popoli dopo la grazia della sua guarigione a Lourdes che lo aveva rimesso in piedi e fui colpito dai suoi occhi azzurri,  dal suo sguardo luminoso e dal suo sorriso, che non dimenticherò mai più.

Il rapporto è divenuto più stringente durante il mio episcopato a Monreale. Mons. Salvatore Di Cristina aveva concesso in comodato gratuito alla Missione di Speranza e Carità dei terreni a Tagliavia e quindi lo incontravo regolarmente in occasione della festa della trebbiatura, che era sempre preceduta una preghiera di ringraziamento a Dio per i frutti della terra.  Fratel Biagio era particolarmente grato dell’aiuto dato ai suoi poveri che lavoravano la terra e non smetteva mai di ringraziare come in una lettera che mi inviò nel settembre del 2017 in cui scriveva: “Carissimo Vescovo Michele: Ti ringrazio perché ci sei tanto vicino e sono proprio i «POVERI» a ringraziarti, grazie per l’ulteriore dono della Terra del Santuario della Madonna di Tagliavia che sta provvidenzialmente sfamando i tanti poveri accolti nella Missione di speranza e carità. […] La missione di speranza e carità: Don Pino il nostro Sacerdote, i confratelli, le consorelle, i novizi, le novizie, i volontari e tutti i fratelli, le sorelle, le mamme e i bambini «PREGANO» per te e per tutta la Chiesa di Monreale, tu prega per noi e per questa umanità”. In questa e in altre lettere scritte a mano che mi ha spedito si firmava evangelicamente “Piccolo servo inutile”.

Adesso a noi tutti si pone la questione su come proseguire la sua opera. Ma, si badi bene, la sua opera non è appena la prosecuzione della vita delle strutture di accoglienza che la Missione gestisce in tre diocesi siciliane. Certo su questo primo aspetto tutti siamo chiamati a collaborare, forse anche più di prima. Ma fare memoria della sua persona e della sua testimonianza significa per ciascuno di noi rispondere ad una semplice domanda: “E io?” Come possiamo fare tesoro della sua testimonianza di fede e del suo attaccamento alla Chiesa? Nei miei anni monrealesi ricordo che spesso si rifugiata in solitudine nel Santuario della Madonna delle Croci sopra Monreale e puntualmente veniva a trovarmi o mi mandava dei messaggi. La sua dedizione ai poveri scaturiva da una vita spirituale fatta di preghiera, di digiuno e di penitenza. Pregare e servire i poveri non erano due facce della stessa medaglia, ma un tutt’uno. Era il suo modo liberamente scelto di servire il Signore attraverso i poveri. Sono stato a visitarlo durante alcuni suoi digiuni per attirare l’interesse delle autorità e della gente su alcune ingiustizie presenti nella nostra società. La sua testimonianza semplice e radicale colpiva chi lo incontrava anche se lontano dalla Chiesa e affascinava i giovani. Ricordo ancora il suo discorso pieno di gioia e di speranza in un incontro con i giovani delle diocesi di Palermo Monreale Agrigento Mazara e Trapani che si è svolto a Tagliavia nell’estate del 2017 in una tappa del pellegrinaggio a piedi da S. Stefano di Quisquina a Palermo.

L’ho sentito più volte durante questi ultimi mesi e incontrato per l’ultima volta lunedì 9 gennaio e sono rimasto colpito della sua serenità pur nella sofferenza che ha affrontato in unione alla passione di Gesù Cristo che ha offerto per la Chiesa e la salvezza delle anime. Gli ultimi mesi sono stati dedicati alla sua consegna graduale e definitiva al Signore. La sua stanzetta era divenuta una sorte di santuario, meta di tanti pellegrini venuti a rendergli grazie, per le grazie che tramite lui avevano ricevuto nella loro vita.

In ultimo quando sono andato alla camera ardente posta nella chiesa di via Decollati sono rimasto impressionato dalla compostezza e dall’affetto del popolo, del suo popolo cui ha saputo dare dignità e futuro e che ora accompagnerà e sosterrà come prima e forse più di prima.

 

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