“Come mafia non comanda”: un libro per non perdere la memoria

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di Francesco Inguanti

Son più di mille le vittime innocenti delle mafie che fanno parte di un elenco promosso su iniziativa di “Libera” e che purtroppo è sempre soggetto ad essere aggiornato. È ovvio che non godano tutte della stessa notorietà. Oltre a quelle famosissime bisogna aggiungere quelle, e sono tante, poco conosciute che pur godendo di pari dignità sono ignote al grande pubblico.

Di questo elenco più numeroso fa parte Vincenzo Spinelli un imprenditore palermitano ucciso da un commando mafioso il 30 agosto del 1982 di cui si sarebbe persa la memoria se le figlie e la moglie non fossero riuscite a far riaprire le indagini e a far condannare i colpevoli.

All’impegno instancabile dei familiari si è aggiunto oggi quello di Vincenzo Ceruso che nel suo libro: “Come mafia non comanda”, edizioni Di Girolamo, ha ricostruito le tappe fondamentali di quel lungo calvario, ha lungamente parlato con le figlie e i magistrati, ed ha ricostruito con brevi ed efficaci pennellate il clima della Palermo dell’inizio degli anni ottanta, ricordata soprattutto per l’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, avvenuto il 3 settembre dello stesso anno.

Vincenzo Ceruso ha saputo in poco più di 100 pagine raccontare il clima pesante di quegli anni, quelli dell’inizio della escalation mafiosa. Quell’anno non esisteva ancora l’articolo 416 bis, che introdusse il reato di “Associazione a delinquere di stampo mafioso”, non esistevano reti di associazioni come “Addiopizzo” che negli anni seguenti hanno aiutato e sostenuto quanti hanno deciso di denunciare mafiosi e atti criminali di stampo mafioso, Giovanni Falcone si recava in America per iniziare ad ascoltare le confessioni di Tommaso Buscetta, ma per l’inizio del maxiprocesso si sarebbe dovuto attendere il 1986.

Vincenzo Spinelli era un commerciante con una famiglia normale e una vita normale il quale malgrado i chiari avvertimenti ricevuti non volle piegarsi alla mafia. Scrive Ceruso: “In un’inchiesta ormai classica, svolta dagli studiosi Giorgio Chinnici e Umberto Santino, è emerso come, nella sola Palermo, su un totale di 400 omicidi, in quel 1982 se ne contassero 224 (il 65%) di tipo mafioso” (pag. 58-59). Insomma una Palermo che preferiva voltare lo sguardo dall’altra parte con la solita strafottenza sintetizzata nella frase: “Tanto si ammazzano tra di loro”.

Ceruso ha compiuto un lavoro certosino, leggendo tutti gli atti processuali, parlando con i testimoni ancora disponibili e condendo tutto con la sua maestria nel cogliere nessi e rapporti che a molti quasi sempre sfuggono. Grazie alla fiducia ricevuta dalle figlie ha saputo ricostruire anche il tessuto familiare che Vincenzo e sua moglie, ormai scomparsa, hanno saputo costruire nei pochi anni di matrimonio vissuti insieme. A pag. 57 dice: “Vincenzo Spinelli affrontava la sfida che la criminalità gli poneva davanti, tentando di non snaturare la sua vita quotidiane”. Ed il libro è ricco di ricordi della semplicità della sua vita familiare, nella quale cercò sempre di non far pesare su moglie e figlie il grande fardello che la mafia gli aveva messo addosso. Ne esce non un eroe dell’antimafia, ma un cittadino come noi che consapevole dei rischi cui andava incontro seppe tenere la sbarra del timone sempre diritta, malgrado i tanti avvertimenti ricevuti.

Una nota particolare va espressa per i capitoli finali in cui si racconta delle varie fasi del processo e delle grandi incomprensioni che hanno dovuto superare le figlie per giungere alla sua riapertura.

Scrive ancora Ceruso: “Il Procuratore Ignazio De Francisci, parlando del processo Spinelli ha palesato ancora oggi tutta la sua amarezza, per un esito che non si aspettava: ‘Nel mio bilancio personale è una posta al passivo. Forse la giuria popolare in appello ebbe un certo peso, insieme ad un cambiamento di giurisprudenza’. Come detto, l’unico condannato per il delitto, alla fine dell’iter giudiziario, è stato il collaboratore di giustizia Francesco Onorato, mentre tutti gli altri imputati sono stati assolti definitivamente. Eppure la memoria di Vincenzo Spinelli è ancora viva, finalmente liberata dalle ombre che l’avevano avvolta per anni. I suoi assassini sono morti, o finiti in carcere per altri crimini commessi. Soprattutto, i nomi dei mafiosi che hanno devastato Palermo in quegli anni feroci, come di tanti altri prima di loro, oggi dicono qualcosa solo agli addetti ai lavori e a pochi altri. Questa sorta di damnatio memoriae costituisce una forma di risarcimento dovuta a Vincenzo Spinelli” (pag. 93)

 

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