Quelli della Birreria Finisterre

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di Francesco Inguanti

Trovare oggi nelle librerie un testo recente sul sindacato è impresa difficile. Il sindacato non è più un asse portante della società italiana ed anche l’interesse per la sua azione è scemato di molto. Quindi, che qualcuno scriva e pubblichi 230 pagine su alcune vicende sindacali degli ultimi 50 anni è già una notizia. Ancora di più lo è se il testo in questione non mira a illustrarne le strategie e gli obiettivi che intende raggiungere, quanto a raccontare vicende umane di sindacalisti che vi hanno dedicato tempo ed energie e oggi non vogliono far perdere questa memoria.

Il libro in questione è: “Quelli della Birreria Finisterre. Una compagnia atipica nel lavoro e nel sindacato”, edizioni Itaca, a cura di Giancarlo Rovati e Maurizio Vitali.

Il testo ha una prima parte di Giancarlo Rovati che ripercorre seppur a volo d’uccello le vicende più significative del sindacato italiano intrecciandole con le vicende altrettanto significative della società e della politica del nostro paese. Delinea il contesto degli anni 70 e 80, con una descrizione che ha il pregio di offrirci le chiavi di lettura adeguate sotto il profilo storico e culturale di quegli anni, in cui il post 68, i movimenti studenteschi, le lotte operaie e le tensioni del mondo cattolico e della Chiesa hanno disvelato processi che negli anni successivi ci hanno consegnato una società italiana molto complessa e articolata.

Nella seconda parte sono raccolte le testimonianze di alcuni sindacalisti prevalentemente milanesi e lombardi legati dalla comune esperienza cristiana vissuta in modo pubblico e coinvolgente nei luoghi di lavoro.

Abbiamo chiesto a Fiorenzo Colombo, amico e componente del Direttivo del Circolo Ettore Calvi, che è il luogo in cui per anni si sono incontrate queste persone a Milano di raccontarci del libro e di far capire a tutti che è possibile fare “polis” partendo da una storia di amicizia.

La prima domanda è ovvia: perché questo libro? Un desiderio di revival, visto che molti dei protagonisti sono ormai pensionati? E poi perché un libro sul sindacato che per i giovani lavoratori di oggi è quasi un oggetto misterioso?

Comprendo bene queste ragioni, le condividono anche molti degli intervistati. Ma quelli della Birreria Finisterre sono un’altra storia perché è….anche la nostra storia! Come dice il sottotitolo è stata ed è ancora una compagnia atipica. E già questo merita di essere spiegato e raccontato.

Ed allora risponda.

La vicenda sindacale italiana è storia complessa e controversa, ma qui parliamo non del ruolo del sindacato, delle sue lotte e delle sue rivendicazioni, ma degli itinerari di alcuni amici, prima di tutto amici e poi amici ancora nel lavoro e nel sindacato. Infatti, le interviste sono racconti di vita in fabbrica e in ufficio, di delegati sindacali come lo sono stato io per molti anni, alcuni sono miei coetanei altri sono molto più giovani.

Ma voi ci avete aggiunta anche la fede e il cristianesimo. Perché?

Perché questa è la nostra storia, questo è la molla che ci fa fatto scattare a fare sindacato con passione e senza burocraticità per tanti anni ed è ancora un motivo per proseguire quella esperienza seppur in altro modo. Abbiamo raccontato le storie di un cristianesimo vissuto come attenzione ai bisogni delle persone, condividendone fatiche e aspirazioni, conflitti e ingiustizie. Un cristianesimo da vivere sempre, non solo la domenica a messa, abitudine ormai di minoranza. Storie che confluiscono in un fiume più grande, che scorre nel nostro piccolo mondo e che in qualche modo si distinguono perché sono accomunate da una solidarietà reciproca e concreta a stare nel sindacato e nel lavoro.

Ha detto di esperienza che prosegue. Quale?

È tutto detto nelle storie raccolte di quei personaggi. Alcuni sono diventati capi di strutture sindacali, altri sono rimasti in ruoli intermedi, altri non sono mai usciti dal perimetro della loro azienda; alcuni sono andati in pensione e hanno lasciato il testimone ad altri, alcuni si sono dedicati alla formazione sindacale proponendo percorsi faticosi ma interessanti (il cammino di Santiago, le colline toscane, i sentieri lungo il Po o i percorsi della Valtellina), altri ancora hanno fondato un sindacato che aiuta i precari a esserlo di meno, come la Felsa Cisl. È guidata da trentacinquenni che dopo l’Università hanno intrapreso il lavoro sindacale, un lavoro controverso se si vuole ma bellissimo, per certi versi affascinante, come quello di incontrare, ascoltare e aiutare le persone offrendo tutele e servizi, non chiacchiere. Questa è l’eredità che lasciamo, ma che ancora viviamo, anche se in molti abbiamo i capelli bianchi. Ma abbiamo consegnato il testimone a tanti giovani.

Ci spiega perché “Fininsterre”?

Finisterre era il nome della Birreria sede del Circolo Calvi, luogo operativo e conviviale di questa amicizia: una birreria popolare in un quartiere popolare a nord di Milano, un posto per stare insieme, ma anche sede di uno sportello lavoro, di un recapito per l’assistenza sociale con il patronato della Cisl, un luogo per incontrare colleghi e accademici, politici e imprenditori, una serie di incontri per aiutarsi a stare dentro le cose, i processi, le situazioni. Allora la storia si dispiega in racconti di umanità che, essendo tale, presenta sempre facce inedite, connotati nascosti dietro ai drammi del lavoro, dei licenziamenti, della precarietà.

Ci dica però qualcosa del sindacato oggi. D’accordo che ha perso ruolo e mordente. Ma serve ancora? I lavoratori vi ripongono fiducia?

Sui sindacati si potrebbe dire molto, e infatti occorre distinguere rispetto al passato: non ha più senso dire sindacato in quanto non esiste una forma unica che corrisponda a questa dizione, ci sono tanti sindacati e tante forme di sindacalismo oggi, che rispondono a bisogni diversi, non sempre tutti condivisibili e nobili. Talune conflittualità esasperate nei settori dei trasporti spesso nascondono lotte di potere nella rappresentanza, questione di tessere da mantenere, mentre altre espressioni sono correlate a situazioni di ingiustizie e regole non rispettate nei diversi mondi del lavoro: esistono ancora tante forme di sfruttamento palesi, dall’agricoltura al variegato mondo dei servizi le file dei lavoratori fuori dagli uffici sindacali si allungano per segnalare situazioni di irregolarità retributive e dei contributi pensionistici. Vogliamo parlare di quanti stage fasulli in studi professionali dove i giovani sono costretti a lavorare 10 ore al giorno con un rimborso spese quando va bene?

Nella presentazione del libro avete riunito Sergio D’Antoni, Segretario generale della Cisl di quegli anni e Giorgi Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. Cosa li accomuna rispetto a questo tema?

Sergio D’Antoni è stato un grande leader della Cisl, lungimirante e anticipatore di processi decisivi per la società italiana. Per primo aveva capito che i mutamenti del mercato del lavoro degli anni 90 avrebbero cambiato i connotati delle regole del lavoro. Giorgio Vittadini aveva fondato la Compagna delle Opere proprio partendo dalla necessità di promuovere il lavoro in opere e iniziative profit e non profit, anche a partire dalla grande esperienza dei Centri di Solidarietà di cui è stato tra i principali protagonisti. Il connubio tra queste esperienze, pur inizialmente lontane per sensibilità e valori, ha creato percorsi di cammino comune, sfociati in un accordo di collaborazione per far nascere la prima Associazione per la tutela dei lavoratori non standard, quelli che noi chiamiamo atipici ovvero le collaborazioni e i lavoratori interinali. Questa associazione si chiamava ALAI, nata nel 1998 all’indomani dell’introduzione in Italia della legge Treu, che ha cambiato molte regole del mercato del lavoro. Successivamente, sulle fondamenta di ALAI, è nato un vero e proprio sindacato, la Felsa Cisl, che opera nei campi del lavoro in somministrazione, le collaborazioni e le partite IVA.

Più volte nel libro si parla di popolo e di storia di popolo. Che significa oggi tutto ciò?

Popolo è un termine che deve essere rimesso a tema, non solo sul piano sociologico. Parlare di popolo significa affermare una logica di persone insieme, non la massa indistinta ma amici, accomunati da identità in cammino, non sempre uguali o simili. Amici, non solo lavoratori, amici, non solo colleghi, amici, non solo cattolici praticanti. Quindi amici all’opera, questo è popolo, è storia di popolo: ecco perché la Birreria Finisterre, il Circolo Calvi o ancor prima, l’Ufficio Lavoro del Movimento Popolare, sono persone accomunate da un’amicizia operativa, operosa, come lo è stato tutto il popolo italiano nella ricostruzione del Paese e nelle diverse fasi della sua storia. Oggi viviamo una di queste fasi: la ripartenza (non il tutto andrà bene) chiede che emergano forme di operosità per il bene di tutti, e questo è un compito di ciascuno.

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