“Si aprì una porta nel cielo: la cattedrale di Monreale” La testimonianza di una volontaria che ha contribuito alla realizzazione della mostra di Rimini

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di Andrea Elena Febres Medina

Sono una volontaria del Meeting 2019, e ho lavorato al premeeting per costruire ed allestire la mostra “Si aprì una porta nel cielo: la cattedrale di Monreale”. Non era la prima volta che decidevo di donare il mio tempo al Meeting. Lo scorso anno avevo fatto lo stesso, eppure l’esperienza che ho avuto poco più di una settimana fa è stata inaspettatamente disarmante. Quando siamo arrivati alla mostra, ancora spoglia e scarna, abbiamo subito intuito la magnificenza che avrebbe raggiunto quell’opera. Ma non eravamo pronti per vederne il risultato effettivo, ancora più maestoso di ciò che ci aspettavamo. È stata una settimana passata a 3 metri di altezza, a stuccare, verniciare, coprire ogni venatura del legno per fare in modo da rendere perfetto anche il dettaglio più insignificante: volevamo dare ai visitatori la possibilità di immergersi nella Cattedrale senza alcuno stacco o anomalia. Il desiderio che univa tutti noi volontari era quello di donare agli altri una piccola parte, un tentativo umile, di riproduzione di quella magnificenza che è la vera cattedrale di Monreale. Tutto ciò è stato portato avanti con fatica e con sudore, ma con chiaro in mente che la mostra era nostra, dovevamo sentirla tale e dedicarci ad essa. Nel cantiere c’era grande gioia e voglia di collaborare, nonostante la mole di lavoro ed il caldo. L’idea di star facendo qualcosa per qualcun altro, ci ha portato anche ad aprirci gli uni con gli altri, andando oltre a quelle barriere che solitamente ci dividono per differenze caratteriali o istintive: lì ci guardavamo tutti negli occhi, lieti di star costruendo insieme qualcosa più grande di noi. Il giorno che abbiamo tutti vissuto con più sorpresa è stato il momento in cui sono arrivate le opere d’arte, tra cui la Madonna Odigitria che mai era uscita dalla Sicilia. L’onore di trovarci di fronte a un’opera dal valore inestimabile e di assisterne l’esposizione non è esprimibile: eravamo taciturni, ancora più desiderosi di finire. Da una parte, eravamo curiosi di seguire ogni movimento che gli allestitori compivano; dall’altra, ci era nata dentro la voglia di vedere tutto pronto per accogliere le altre opere in una maniera che fosse degna di tanta bellezza. Non potevamo, tuttavia, non notare l’esperienza degli allestitori, che trattavano con passione e delicatezza ogni reperto. Dovevamo avere scritto in volto che eravamo lieti nella fatica, perché proprio quel giorno un operaio ci ha chiesto perché lavorassimo gratis lì e chi ce lo facesse fare. La risposta è arrivata poco dopo, avvolta in carta giapponese: l’allestitore ha tirato fuori da una cassa un pezzo di pavimento della cattedrale. Io mi trovavo accanto a lui, e quando lo ha svestito della carta, si è subito sentito l’odore del marmo. Le foglie dorate di acanto brillavano sotto i nostri occhi, ed io mi sono commossa davanti a tanta bellezza. Non ho potuto resistere, non ne ho avuto nemmeno il tempo: ecco perché eravamo lì, per la bellezza che ci viene data e che va curata. Il giorno dopo siamo andati alla mostra. L’emozione di vedere tutto concluso è stata grande, in particolare quando siamo entrati nella cattedrale e abbiamo visto la meravigliosa stampa del Cristo Pantocrator. Non credevamo ai nostri occhi, a tanta bellezza. Com’è possibile che l’uomo possa generare così tanta bellezza? E se la stampa è tanto sensazionale, cosa si prova a stare davanti al reale Cristo Pantocratore? L’unica risposta è stata, uscendo dalla mostra, promettersi di andare là, a Monreale, un luogo che ora sentiamo nostro, anche se molti di noi non ci sono mai andati. Un luogo che sentiamo nostro perché ciò che la cattedrale ci ha insegnato è che la bellezza non è scontata, ma va perseguita in ogni cosa.

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