Due nuovi Diaconi arricchiscono la Chiesa monrealese.

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Il 3 luglio 2019, nella Cattedrale di Monreale gremita di parenti e amici, sono stati ordinati diaconi SALVATORE CRIMI della comunità parrocchiale “SS. Redentore e S. Nicola di Bari” in San Giuseppe Jato e SALVATORE GRIZZAFFI della comunità parrocchiale S. Martino in Corleone per l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria di S.E.R. Mons. Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale, nel XVII anniversario della sua ordinazione episcopale. Li abbiamo incontrati alcuni giorni dopo.

Salvatore Crimi ha 27 anni, è nato e vissuto a San Giuseppe Jato ove ha compiuto gli studi diplomandosi all’Istituto I.P.A.A di San Giuseppe Jato – San Cipirello. La fanciullezza l’ha trascorsa in parrocchia e l’adolescenza, con le inevitabili crisi adolescenziali, con gli amici, i compagni di scuola e le diverse attività di carattere sociale a cui ha sempre mostrato particolare interesse e inclinazione. Poi un lento e graduale ritorno alla esperienza religiosa grazie alle buone compagnie che un piccolo paese ancora riesce ad offrire e alla vicinanza del suo Arciprete-parroco Don Gioacchino Tumminello, che con discrezione e affetto ne ha accompagnato il cammino, senza mai precorrere i tempi, ma intuendo che il giovane Salvatore viveva dentro il cuore un’ansia e un desiderio che solo una scelta vocazionale sacerdotale avrebbe potuto saziare. Dopo aver compiuto gli studi superiori, grazie alla’amicizia con il giovane sacerdote don Davide Rasa, ha iniziato gli studi presso la Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia e contemporaneamente ha intrapreso un discernimento vocazionale con l’attuale Padre Spirituale del seminario Don Giuseppe Salmone fino a quando è apparso chiaro che occorreva una seria verifica vocazionale che poteva solo appurarsi con l’ingresso in Seminario. Quegli anni sono stati segnati dalla morte di Onofrio Schirò, un ragazzino di 13 anni che Salvatore ha accompagnato nel servizio all’altare fin dall’età di 7 anni e con cui è rimasto legato soprattutto durante gli anni della malattia e dalla improvvisa morte del padre, avvenuta un mese dopo.

Salvatore Grizzaffi ha 38 anni, proviene da Corleone, ma ha vissuto una vita alquanto movimentata. Dopo gli studi e il conseguimento del diploma al liceo Scientifico di Corleone è stato tra gli ultimi italiani ha svolgere il servizio militare di leva. Alla sua conclusione ha deciso di proseguire nell’esercito la propria carriera professionale, abitando per quattro anni a Torino e approfondendo le proprie competenze professionali in un’azienda. A trent’anni suonati ha deciso di lasciare sicure prospettive professionali e affettive in Piemonte per tornare a casa a Corleone.

Perché questa scelta di rottura?

Salvatore Grizzaffi. Mi portavo da tempo in cuore un’ansia e un desiderio di compimento cui non sapevo dare risposta, pur avendo a Torino tutto ciò di cui avevo bisogno. La morte di mio padre mi aveva aperto domande e interrogativi nuovi, ma soprattutto avvertivo il bisogno di ricomprendere la mia vita a partire dal luogo e dai volti che l’avevano costituita e formata: la famiglia e il paese.

E hai deciso di tornare? Cosa hai lasciato e cosa speravi di trovare?

Ho lasciato molti amici ed una vita apparentemente realizzata nel campo professionale e affettivo. Ho trovato la casa da cui ero partito, ove abitavano mia madre vedova e mia sorella, più grande di me, mentre mio fratello aveva messo su famiglia per i fatti suoi. E poi alcuni vecchi amici. Ho ricominciato da loro.

E il lavoro?

Con le indubbie conoscenze acquisite ho potuto con facilità inserirmi nell’azienda agricola di famiglia, dando una ventata di innovazione che forse ci voleva.

E per il resto?

Sono tornato a fare la vita di tanti miei coetanei; mi sono fatto anche fidanzato e c’era già in giro aria di matrimonio. Però…

Però cosa?

Più vivevo la vita, bella e normale come quella di tanti altri, più quella vita non mi dava abbastanza soddisfazione. Certo vivevo, ma non con sufficiente soddisfazione e appagamento.

E allora cosa è successo?

Ho deciso di approfondire il senso di quanto mi era accaduto negli anni giovanili e di quanto mi stava accadendo. Devo molto ad un mio amico sacerdote, che senza mai mettermi fretta mi accompagnava giorno per giorno, vivendo tutti gli aspetti della quotidianità, ma senza mai farmi mancare le domande sul senso di quello che stavo facendo.

Finché?

Finché un giorno a oltre trent’anni decisi di fare la verifica definitiva. Senza strappi sensazionali, ma con molta coerenza intrapresi prima un cammino di verifica vocazionale e poi entrai in Seminario. Ed ora a 38 anni sono pronto per una decisone che sarà l’ultima prima di quella definitiva del presbiterato.

Appunto, che significa diventare diacono?

Salvatore Crimi. Per comprenderlo basta comprendere i segni e i gesti che abbiamo compiuto nel rito dell’ordinazione. Tutto ha avuto un senso e tutto è stato rivolto alla meta finale: il giuramento, la promessa, la vestizione, e l’abbraccio, ecc.

Si potrebbe dire ascoltando le vostre storie che diventare prete a quasi quarant’anni esprime una pinea consapevolezza. Ma in uno che non ne ha ancora fatto 30 che chiarezza si può avere?

Quella che deriva da un percorso, la lunghezza poco importa, in cui due cose si sono sempre più definite nella mia vita. Il bisogno di significato profondo di quello che ho vissuto e vivo e la compagnia decisiva che alcune persone hanno avuto per aiutarmi a comprende il senso di tutto ciò?

Ma il bisogno di senso lo vivono tutti. La risposta non è nel farsi sacerdote?

Certamente, ma la differenza tra me e i tanti amici che solo apparentemente lascio nella loro condizione “laicale”, non sta nella forma della scelta vocazionale, ma nella coerenza che ciascuno riesce e riuscirà anche in futuro a dare alla chiamata del Signore. Tutti siamo chiamati alla santità; la forma che essa assume, in un certo senso, ha poca importanza.

Ma fare il prete non è la stessa cosa che rimanere laici. Forse richiede più impegno?

Questo è quello che appare dall’esterno, anche a causa della rilevanza pubblica che ha questo servizio nel contesto sociale in cui si esplica. Ma al fondo non c’è differenza. Se penso ai miei genitori e al loro rapporto coniugale, mi è chiarissimo. Per esempio quanta responsabilità e fatica hanno messo nell’allevare i figli! Anche se adesso mia madre mi dice che dovrò allevarne molti di più di quelli che ha allevato lei.

Ma a 26 anni non c’è il rimpianto per qualcosa a cui si deve rinunciare?

No, a meno che non si abbia una percezione solo materiale o formale della vita. Sono abbastanza felice e sereno per ciò che ho scelto e a cui il Signore mi ha condotto in questi anni. Rinunciare per qualcosa di più grande? Eccomi! Sono pronto!

Cioè?

Senza toccare subito il solito tasto dell’affettività e del matrimonio posso già dire che la rinuncia ad organizzare il tempo o a rinunciare alla concezione del “tempo libero” non mi pesa in alcun modo perché il tempo che mi viene organizzato da un Altro (attraverso gli altri che mi mette accanto) mi gratifica e appaga, forse più di quanto accade ad altri miei coetanei.

Già, i coetanei. Come hai vissuto con loro questa strada e come l’hanno percepita?

Il percorso che mi ha portato al fatidico appuntamento del 3 luglio è stato fatto molto in loro compagnia. Con loro in parrocchia, in piazza, a scuola e nelle diverse attività sociali svolte in paese ho vissuti una grande amicizia e gratitudine. Ho trascorso con loro tutto il tempo possibile, facendo insieme tutte cose, compreso qualche digressione giovanile. Tutto con grande rispetto di quello che maturava in me e di quello che maturava anche in loro. In tutta sincerità mi sono divertito e continuo a divertimi non per le cose fatte, ma per il significato che anche le più piccole, hanno avuto.

Ma tu comunque non eri il buono della compagnia che doveva farsi prete e che per questo doveva dare “il buon esempio”?

Il problema del buon esempio riguarda tutti, ma il problema non è questo anche perché sembra che oggi il buon esempio non sia più una virtù. Non fa più parte dei canoni della educazione. Anche se credo fermamente che il “primo” Annuncio passa principalmente attraverso il buon esempio.

E allora qual è il problema?

Il problema è far comprendere l’origine dell’essere buoni. Perché oggi bisogna essere buoni? Sembra che non sia né utile né apprezzabile. Quindi la questione assume un altro nome: per me si chiama testimonianza. Siamo chiamati a rendere testimonianza per quello che ci è accaduto e a cui tutti siamo chiamati. Tutti dovrebbero essere buoni, ma noi cristiani abbiamo una responsabilità in più

Quale?

Quella di rendere ragione della sua origine: Aver incontrato il Signore non ci obbliga al proselitismo, ma alla testimonianza sì. Questo è quello che ho imparato stando tanto tempo con i giovani ad organizzare, tornei, gite, spettacoli e quant’altro. Questa è la mia percezione dovendo cominciare a come fare il prete.

Parliamo dei giovani. Come sono dal punto di vista di uno che tra qualche anno sarà prete?

Sono desiderosi di capire che ci stanno a fare al mondo, visto che non l’hanno deciso loro, ma anche bramosi di essere capiti e amati, attraverso una compagnia che si nutra della quotidianità della vita. Io ho molti amici che non vanno più in Chiesa da tempo ormai, ma hanno il desiderio, di essere ascoltati, di comprendere e molti di loro nutrono molti rimpianti per essersi allontanati. Forse siamo “noi” al di dentro che siamo distratti e superficiali, i miei amici desiderano essere capiti e non omologati, accolti e non sopportati, protagonisti della loro vita e coerenti con la fede e non di quella che altri hanno preparato e scritto per loro.

Cosa hai lasciato della vita e cosa ha trovato di meglio in quella che t’attende?

Salvatore Grizzaffi Con una battuta potrei dire che ho perso una vita per trovarne una migliore.

Ma questo è troppo formale e astratto.

Infatti. In concreto vuol dire che andando al fondo di un percorso che era scritto già dalla nascita nel mio cuore sono giunto a quasi quarant’anni ad una tappa di chiarezza e soddisfazione. Sono certamente contento e consapevole, ma siamo appena agli inizi. Mi attende ancora un lungo cammino.

E sei preoccupato?

Non per quello che mi riserverà la vita. Essa non farà sconti a me come non ne fa a nessuno. Ma sono proteso a comprendere come quello che sta accadendo si approfondirà con i luoghi, i volti e le circostanze che mi attendono e di cui non ho alcuna consapevolezza. Ma tutto ciò, forse a differenza di altri, non mi provoca ansia, ma anzi forte desiderio di capire.

E le vostre famiglie come hanno preso la notizia della vostra scelta?

Salvatore Crimi. La mia vocazione è certamente frutto del contesto familiare molto seriamente religioso in entrambi i genitori. Una cosa mi piace ricordare. Mi padre appresa la novità mi disse: “Non mi far fare brutta figura”. Era ed è una grande verità! Sia per l’aspetto sociale del ruolo che ricoprirò sia per l’aspetto spirituale e filiale che mi porterò sempre. Me lo ricorderò fino alla morte.

Salvatore Grizzaffi. Anch’io provenendo da una famiglia molto religiosa non ho avuto alcun ostacolo. So adesso con certezza che hanno avuto molto rispetto per il cammino intrapreso che mia madre, come ogni madre, intuì per tempo. Voglio ricordare come commentò mio fratello: “La scelta e tua, io non l’avrei fatta. Ma se tu sarai contento lo sarò anche io”. Questa è la grande sfida che intendo raccoglie.

Per ultimo. La chiesa monrealese è ricca di figure santi, beati, servi di Dio. Ve n’è una in particolare che vi è più cara a cui volete ispirarvi?

Salvatore Crimi. Le figura di santità della nostra Chiesa Monrealese a cui mi sono particolarmente ispirato è quella della Beata Pina Suriano. Io praticamente ci sono nato nell’Azione Cattolica e il suo esempio, i suoi scritti, recentemente ripresi dal nostro Rettore del seminario, la sua profondità interiore e i suoi ostacoli in vita, mi hanno sempre commosso profondamente. La beata Pina Suriano è un modello per quanti, in forza della loro fede, sanno osare! Impegnarsi per qualcosa di serio e costruttivo e soprattutto saper sopportare il peso del Sacrificio. L’altro è il Beato Giacomo Cusmano a cui sono particolarmente legato perché, pur essendo Palermitano di nascita, la sua famiglia aveva molti possedimenti in contrada Muffoletto nel comune di San Giuseppe Jato. Tutte le estati e per molti altri periodi, soprattutto dopo essersi laureato in medicina, egli trascorreva lunghi periodi in questo nostro comune tanto da essere nominato “il dottore buono del paese”. Certamente dal Beato Cusmano mi porto la sua attenzione verso gli ultimi. Un’attenzione molto speciale, tanto da giungere alla “posposizione” cioè mettersi al posto del povero, tanto da creare il “boccone del povero” che si basa sul principio di togliere dalla bocca del ricco per darlo al povero. Un vero modello per la mia prossima carità Sacerdotale.

Salvatore Grizzaffi. non ho particolari modelli di santità a livello diocesano, in quanto, la mia spiritualità è più vicina e si basa principalmente sulla spiritualità carmelitana e di Santa Teresa. Ma certamente mi sento legato a San Bernardo da Corleone soprattutto per la sua radicalità nell’adesione al Vangelo.  

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