Convegno a Monreale sulle lotte sociali nel 1920. Ne parliamo con Mons. Michele Pennisi

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di Francesco Inguanti

Si è svolto nel palazzo arcivescovile di Monreale il convegno di studi “Sicilia 1920. Lotte sociali, conflitti politici e violenza dopo la Grande Guerra”.

Nel corso della intensa mattinata si sono alternati autorevoli studiosi che hanno tratteggiato le figure di molti sacerdoti uccisi dalla mafia subito dopo la Prima guerra mondiale, dei quali si è persa troppo presto la memoria.

Il convegno è stato organizzato dall’Arcidiocesi su iniziativa della Pro Loco di Monreale e della rivista «Studi Storici Siciliani».

Abbiamo chiesto a mons. Pennisi, che ha portato il saluto augurale, il senso e l’importanza dell’iniziativa.

“Il primo motivo che ci ha portato a condividere questa iniziativa – ci ha detto – sta nella presenza in sala degli studenti delle classi quinte del liceo Basile-D’Aleo e del liceo scientifico di San Giuseppe Jato. Tutti noi abbiamo la responsabilità di tener viva la memoria storica delle generazioni più giovani, che rischiano di rimanere vittime dell’attualità, del contingente, dell’oggi: ignoranti del passato, corrono il rischio di non aver interesse per il futuro. Ma c’è anche un altro motivo”.

Quale?

Tentare di sfatare il luogo comune di una Chiesa asservita alla mafia e incapace di comprenderne la pericolosità. Nel periodo oggetto di studio del convegno diversi preti furono uccisi dalla mafia, anche se non furono mai scoperti né i mandanti né gli esecutori di quei delitti, e sono stati sepolti dall’oblio, dalla rimozione collettiva e dall’indifferenza mediatica.

I numerosi relatori hanno fatto conoscere una pluralità di sacerdoti uccisi dalla mafia. Ma quale era il contesto sociale in cui questi eccidi avvennero?

Il rapporto degli uomini di Chiesa con la mafia si colloca all’interno del rapporto fra movimento cattolico sociale e potere politico. Se c’erano membri del clero che negavano l’esistenza della mafia (o ne erano complici), i «preti sociali», che si richiamavano alla Rerum Novarum e al movimento cattolico-sociale di impronta democratica-cristiana promosso da don Luigi Sturzo, erano anche i principali nemici dei boss, oltre che dei latifondisti.

In più occasioni lei ha citato il contributo che Luigi Sturzo ha dato alla lotta alla mafia. Perché? A quando si fa risalire?

L’impostazione critica di Luigi Sturzo contro la presenza della criminalità mafiosa e delle sue connivenze con i mondi dell’economia, dell’amministrazione e della politica emerge, in un articolo pubblicato il 21 gennaio 1900 sul periodico da lui diretto “La Croce di Costantino” intitolato “Mafia”, in occasione del caso Notarbartolo. Scrive:” chi ha seguito con attenzione il processo, vedrà come quest’ultimo è un effetto della mafia, che stringe nei suoi tentacoli giustizia, polizia, amministrazione, politica; di quella mafia che  oggi serve per domani essere servita, protegge per essere protetta, ha i piedi in Sicilia ma afferra anche a Roma, penetra nei gabinetti ministeriali, nei corridoi di Montecitorio, viola segreti, sottrae documenti, costringe uomini, creduti fior d’onestà, ad atti disonoranti e violenti Oramai il dubbio, la diffidenza, la tristezza, l’abbandono invade l’animo dei buoni, e si conclude per disperare.”. E aggiunge:” gli alti papaveri commettono all’ombra concussioni, furti omicidi; e quando si è arrivati con l’acqua al collo, si tenta il salvataggio. I giornali son pieni di fatterelli e fattacci della mafia siciliana e specialmente dell’on. Palizzolo; son lunghe narrazioni di imbrogli e sopraffazioni durati da un trentennio e più; con l’appoggio di tutti i governi e i ministeri. È la rivelazione spaventevole dell’inquinamento morale dell’Italia, sono le piaghe cancrenose della nostra patria, la immoralità trionfante nel governo”.

Sono state numerose le figure di sacerdoti uccisi per mano di mafia illustrate dai relatori. Qualcuna è più importante o le è più cara?

Lungi da me fare un elenco di qualunque tipo di priorità. Cito solo quella su cui più di recente sono stati fatti degli studi accurati da don Giuseppe Ruggirello. Mi riferisco al canonico di Monreale Gaetano Millunzi, poeta, latinista, storico, scrittore, letterato, amante delle lingue antiche e dell’arte. Insegnò lettere latine ed italiane; dal 1904 fino alla morte ricoprì il ruolo di Direttore delle Scuole arcivescovili, insegnando Storia dell’arte, Archeologia, Teologia morale. Nel 1890 venne eletto canonico e parroco della Cattedrale di Monreale. Nel 1900 fondò la Cassa Rurale a Monreale. La sera del 13 settembre 1920 venne ucciso a colpi di lupara nella sua casa di villeggiatura a Realcelsi (Monreale). Intorno alla sua uccisione non si è fatto ancora chiarezza, sebbene molti l’attribuiscono alla mafia e alla gestione delle acque legate alla mensa arcivescovile. La mattina del 20 settembre furono celebrate solennemente le esequie nella Cattedrale di Monreale, presiedute dal Pro Vicario Generale Francesco Paolo Evola, alle quali assistette in abiti pontificali l’arcivescovo Antonio Augusto Intreccialagli. Il suo assassinio è rimasto impunito. “La morte del Millunzi - ha affermato il vescovo Giuseppe Petralia - è rimasta sempre misteriosa: certo è, però, che è rimasto vittima del suo coraggio e della sua lealtà. Egli non ammetteva prepotenze, sia nella vita pubblica, sia nelle istituzioni”.

Vuole citarne altri?

No. Credo che il Convegno di studi abbia offerto un ampio spettro di persone e fatti relativi a quel periodo. Voglio solo aggiungerne la testimonianza di don Giulio Virga un sacerdote impegnato nel sociale di san Giuseppe Jato che davanti al giudice Triolo il 12 aprile 1926 dichiarava: “Intendo riferirmi alle violenze e prepotenze esplicate dai componenti ed affiliati della maffia che anche in questi comuni, come altrove ha cercato, con imposizioni minacce, rapine, omicidi e danneggiamenti fare allontanare i contadini dalla terre allo scopo evidente di impossessarsi a breve scadenza delle terre, sia prendendole in gabella sia acquistandole definitivamente. Ho sempre combattuto apertamente la delinquenza ovvero la maffia che ho sempre considerato la rovina di questi paesi…. Infinite furono le violenze e le prepotenze esercitate nelle campagne degli onesti e pacifici cittadini, che tutti i delitti più gravi, specialmente di sangue, sono stati consumati dalla maffia che era sicura di rimanere impunita per le aderenze e protezioni che vantava anche da parte di personalità politiche…”

Questo lavoro procederà? E come?

Vi è un impegno di tutti gli studiosi a far sì che questo aspetto della lotta alla mafia sia conosciuto sempre di più. Ma vi è, forse ancora prima, una responsabilità di tutti noi perché da questi fatti si traggano giudizi sull’oggi, sull’importanza della testimonianza, sul valore dell’impegno civile e sociale. I sacerdoti di cui si è parlato al convegno si opposero alla mafia precorrendo, anche se con motivazioni diverse e in un altro contesto storico, un martire dei nostri tempi, ucciso dalla mafia il beato don Pino Puglisi. Di tutto ciò non va persa la memoria.

 

 

 

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