Curare anche quando non si può guarire: il sollievo delle cure palliative

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di Angelo Alessio Nicchi

e Sebastiano Evola

Le questioni sul fine vita sembrano destinate a salire alla ribalta mediatica, oltreché politica e giuridica, solo in sporadiche occasioni, le quali però, in ragione della potenza narrativa delle storie che raccontano, catturano l’attenzione dello spettatore in maniera praticamente certa, impietosendo, irritando, turbando e, soprattutto, frammentando una opinione pubblica già indebolita.

Emerge, più che mai oggi, la necessità di conferire dignità alla vita, a prescindere da qualsivoglia preconcetto culturale, per cui, senza più incertezze di sorta appare un obbligo solenne curare anche quando non si può guarire, espressione che esprime il dovere morale di difendere i più deboli.

Per questo le cure palliative, ossia l’insieme di soluzioni terapeutiche volte ad accompagnare il malato nella sua fase terminale, giocano oggi un ruolo essenziale. Esse sono l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici.

Infatti, le cure palliative, presupponendo un concetto di dignità che concilia qualità e sacralità si situano in maniera equidistante sia dall’eutanasia sia dall’accanimento terapeutico, ponendosi perciò a servizio della centralità dell’esistenza e del suo spegnersi. Il processo naturale della morte, che non viene anticipato né posposto, rimane così nella sua esatta collocazione temporale, non incidendo sulla quantità della vita ma solo sulla sua qualità. Nel nostro Paese spesso le cure riguardanti un fine vita dignitoso sono inaccessibili al cittadino nonostante la previsione legislativa. La questione oggi si pone, infatti, su come potervi avere accesso, date le lunghe liste di attesa, l’assenza di medici formati, di linee guida univoche. 

Anche il Santo Padre Francesco è intervenuto sul tema affermando che le cure palliative sono espressione dell’attitudine propriamente umana a prendersi cura gli uni degli altri, specialmente di chi soffre. Esse, continua il Papa, testimoniano che la persona rimane sempre preziosa, anche se segnata dall’anzianità e dalla malattia. La persona infatti, in qualsiasi circostanza, è un bene per se stessa e per gli altri ed è amata da Dio. Per questo quando la sua vita diventa molto fragile e si avvicina la conclusione dell’esistenza terrena, sentiamo la responsabilità di assisterla e accompagnarla nel modo migliore.

Le cure palliative prendono in considerazione, dunque, la spiritualità del morente e proprio per questo non possono non presentarsi anche come uno stare accanto silenzioso e rispettoso della sua solitudine, una presenza che accompagna prendendo per mano, un ascolto del silenzio del morente, una contemplazione della luminosità del suo volto, un pregare, quasi senza parlare per suggerire le parole più adatte, i sentimenti più appropriati, gli stati d’animo più genuini, ma senza mai interferire nello snodarsi dell’esperienza religiosa che il morente sta vivendo.

 

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