Anche in questi giorni ognuno ha qualcosa da dare e da fare per aiutare chi ne ha bisogno

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di Giuseppe Savagnone

All’elenco dei contributi chiesti per commentare l’intervento di papa Francesco in piazza San Pietro il 27 marzo scorso aggiungiamo oggi quello del professore Giuseppe Savagnone

«Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti».

Il quadro offerto da papa Francesco – nella sua riflessione del 27 marzo, in occasione della benedizione “urbi et orbi”, in piazza S. Pietro – riflette in modo efficacissimo alcuni elementi essenziali della situazione creata dal coronavirus.

«Impauriti e smarriti». Da tempo per noi italiani il tema della paura era all’ordine del giorno, ma per i motivi sbagliati. Ci siamo difesi a lungo da minacce inesistenti e solo ora ci rendiamo conto che proiettavamo su altri esseri umani le cause di una fragilità che è invece costitutiva del nostro essere. Il virus non dimostra che Dio esiste, ma certamente evidenzia che non lo siamo noi. «La tempesta», ha osservato Francesco, «smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità».

Nel giro di poche settimane un essere microscopico, invisibile, ha messo in ginocchio le nostre strutture sociali ed economiche, lasciato perplessi i nostri scienziati, confuso i nostri governanti. La sicurezza che abbiamo creduto di garantirci si è rivelata un’illusione. Il guadagno di tutto questo è una sana insicurezza che relativizza le nostre presunte certezze e ci apre all’essenziale.

«Sulla stessa barca». Sì, la pandemia ha unificato il pianeta molto più fortemente di quanto avessero fatto gli organismi internazionali creati da noi «Con la tempesta (…) è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli».

Il coronavirus – contraddicendo ogni pretesa di far da soli, a livello sia individuale che nazionale –  ci ha reso consapevoli del fatto che la sorte di ognuno dipende dagli altri. Il comportamento dei cinesi – purtroppo, all’inizio, poco trasparente – ha influito negativamente su Paesi lontanissimi geograficamente e culturalmente dalla Cina. Così come le strategie virtuose, degli stessi cinesi e degli italiani, nell’opporsi al contagio, alla fine si sono imposte come un modello prezioso anche per i governi che all’inizio avevano sottovalutato la minaccia.

Analogamente, quello che ha fatto e fa ognuno di noi, a livello individuale, ricade sugli altri membri della famiglia (i nonni contagiati dai nipoti imprudenti…), del quartiere, della città. Nessuno, davanti al virus, può dire più: “sono fatti miei”.

«Tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari». Abbiamo scoperto che non solo il destino di ciascuno può essere compromesso dagli altri, ma che ognuno ha qualcosa da dare e da fare per aiutare chi ne ha bisogno. La triste stagione del coronavirus sarà ricordata come quella in cui tanta gente ha offerto il proprio denaro, le proprie energie, il proprio tempo, perfino la propria vita. In una società dove l’individualismo e il narcisismo sembravano imperare incontrastati, si sono create reti di solidarietà improvvisate, inedite alleanze, forme nuove di vicinanza a chi soffre o è povero. «È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste».

C’è stata molta confusione, è vero. Le autorità hanno proceduto a tentoni, a volte contraddicendosi, a volte facendo errori marchiani. La gente a volte si è comportata in modo irresponsabile, ignorando le regole e violando i divieti. Ma era la nostra prima pandemia (speriamo anche l’ultima)!

E da questo quadro scaturisce un impegno: «Signore (…), ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta (…). Il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri».

 

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