Luigi Maria Epicoco: La scelta di Enea

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di Francesco Inguanti

Chi non conosce e ricorda la storia di Enea? Le sue vicende eroiche e avventurose ci hanno accompagnato negli anni giovanili, per lasciare spazio poi ad altro e ad altri.

Il recente libro di don Maria Luigi Epicoco: “La scelta di Enea. Per una fenomenologia del presente”, edito da Rizzoli ce lo fa riscoprire come paradigma di una storia attuale e ci offre spunti di riflessione, cui forse non avevamo prestato adeguata attenzione da giovani.

Innanzitutto va detto dello schema che l’autore persegue per la sua narrazione originale ed avvincente, che corrisponde ai capitoli del libro, che enunciamo subito.

Si parte dalla fine di Troia che per Epicoco è lo spunto per affrontare il primo argomento: Sul Trauma. Segue subito dopo il viaggio che Epicoco intitola: La speranza come cammino. Il terzo capitolo è dedicato al padre Anchise che l’autore utilizza per affrontare il tema che chiama: Sull’inclusione della vecchiaia. Il capitolo successivo è dedicato al figlio Ascanio che Epicoco intitola: Sul rapporto con le nuove generazioni. Nel capitolo quinto si parla delle tempeste e Epicoco lo definisce: Sul buon uso della crisi, col chiaro scopo di parlare della condizione attuale che stiamo attraversando. Nell’ultimo e sesto capitolo Enea è chiamato alla fondazione della nuova patria ed Epicoco conclude col titolo: Per una società generativa.

Prima di addentrarci in alcuni argomenti dei tanti oggetto della riflessione di Epicoco va detto che ogni capitolo consta di due parti. Nella prima l’autore racconta con sue parole e brevemente l’avvenimento da cui prenderà spunto per la seconda parte, quella propriamente oggetto delle riflessioni e provocazioni proposte al lettore. In questo modo ci introduce al tema del suo commento rievocando alla nostra memoria fatti e circostanze che forse abbiamo tralasciato.

Non potendo affrontare i contenuti dei sei capitoli ci limitiamo a sceglierne due, fra loro speculari: il terzo sulla vecchiaia e il quarto sui giovani.

Epicoco prende subito di petto il problema e parte dal chiedersi perché la vecchiaia, che dovrebbe essere tempo di pienezza di vita, nella nostra società contemporanea “viene percepita come uno scarto, come qualcosa da nascondere, o di cui poter fare a meno”. La risposta è lapidaria: perché “negli ultimi secoli abbiamo cominciato a misurare la vita non più con la vita ma con l’utile”. Ma questa risposta apre a una domanda ben più importante: “C’è bisogno nella nostra società degli anziani? Perché Enea insiste nel portare il proprio padre in quel viaggio? Perché non percepisce invece il padre come un ostacolo, come qualcosa che può rallentare la sua fuga? ….. La vecchiaia è si o no necessaria alla società?” Evitando di scadere nei luoghi comuni di cui abbonda la sociologia sull’argomento, invita a prestare attenzione a tre caratteristiche della vecchiaia: il decadimento del corpo, l’esperienza della debolezza, l’aumento delle malattie neurovegetative. Tutti elementi difficili da accettare per chiunque. La sua risposta è un bellissimo commento alla vicenda biblica di Saul e Davide. Inizia col dire che “Saul è un re che potremmo definire vincente secondo l’ottica umana: la possanza fisica, ma anche la sua capacità di corrispondere a quelle che sono le aspettative del mondo …. Un re che si fida molto di ciò che pensa, di ciò che sente, di ciò che vede”.

Per Epicoco: “Davide, invece, non ha nessuna di queste caratteristiche esteriori. Il testo biblico ci dice però che Davide è scelto perché Dio non guarda l’apparenza ma guarda il cuore”. Il resto della storia può essere letto nel Primo libro di Samuele, cui rimandiamo il lettore. La risposta di Epicoco è nel paragrafo intitolato: “La vecchiaia come benedizione”. Egli lo sviluppa in tre tappe: “La vecchiaia diventa tempo di benedizione quando porta con sé esattamente questa capacità di saper rintracciare il bene dentro l’esperienza”. E per Enea Anchise era certamente questo. La seconda è la gratitudine. Scrive Epicoco: “La buona guida è tale quando trasmette questa intelligenza esperienziale nel riuscire a ritrovare il bene. Un anziano è benedizione quando educa alla gratitudine non come una nozione moralistica, cioè non dice semplicemente che bisogna dire grazie, ma dice che nella realtà è nascosto un bene”. Aggiunge inoltre che la vecchiaia può diventare benedizione perché “essa è maestra non soltanto di discernimento del bene, ma soprattutto di pace”. E poi conclude così: “La gratitudine e la pace lasciano il posto al terzo ed ultimo aspetto della vecchiaia come benedizione, che consiste in un gesto semplice e al tempo stesso rivoluzionario. È il gesto del togliersi, del diminuire, del lasciar il posto, del tramontare”.

Questo tema, così caro ad Epicoco, che ritroviamo in molti suoi scritti, è specularmente affrontato nel capitolo dedicato alle giovani generazioni significativamente intitolato: “Ascanio: il figlio tenuto per mano”. Anche in questo caso l’incipit è diretto. Scrive: “Solo la novità commerciale suscita entusiasmo. Il nuovo in genere atterrisce, crea sospetto, chiusura, polemica, fa scattare subito meccanismo difensivi…. In questo senso un figlio rappresenta sempre una novità che, nella nostra cultura individualista, crea più problematicità rispetto al passato. Avere un rapporto con le nuove generazioni significa, come per Enea, sentire la responsabilità di stringere la mano a qualcuno per condurlo”. E più avanti prosegue: “La nostra società ha bisogno di imparare una verità che sembra sfuggire alle nostre riflessioni: per poterci salvare abbiamo bisogno di salvare l’altro. Enea ha un’unica possibilità di salvarsi ed è salvare il figlio Ascanio…. Nella concezione individualista, l’io ha tutto il diritto di godere sempre, senza nessun tipo di limite. Il fine ultimo è sempre la salvezza del nostro io. Ecco perché l’egoismo, il narcisismo molto spesso sono celebrati come le realtà vincenti nel mondo contemporaneo”. L’ultimo affondo è sulla felicità. “Se bastasse avere tante cose per essere felci, molte persone avrebbero già trovato il loro paradiso, ma basta guardarsi intorno per accorgersi che spesso l’avere molte cose non corrisponde automaticamente ad essere felici. Confondere la felicità con la sazietà, il compimento dell’uomo con il suo successo, significa condannarlo a non accorgersi di avere perso il senso, di aver mancato il bersaglio, di avere smarrito ciò che più è vitale nell’esistenza umana”.

Come già fatto nel capitolo precedente sceglie alcune pagine molto note della Bibbia, quelle del rapporto tra Caino e Abele per svolgere questa dinamica nell’ottica della fede. “Caino – scrive – rappresenta l’individualismo che per sua natura implica sempre una pulsione omicida. Ma tutte le volte che riesce a far questo, invece di realizzare il proprio sogno, l’individualista condanna sé stesso all’erranza”. Lasciamo al lettore le pagine che spiegano la dinamica del primo omicidio della storia umana e entriamo nello svolgimento dei due temi del pensiero di Epicoco sull’argomento: l’ascolto e l’accoglienza. E a questo punto compare la parola rinuncia”. “Ecco perché la prima forma di responsabilità è il sacrificio di rinunciare a noi stessi, soprattutto in rapporto agli altri, cioè di rinunciare alle nostre aspettative affinché esse non condizionino la vita che amiamo, di cui stringiamo la mano”. Si apre allora il tema dell’educazione, su cui per brevità sorvoliamo, e quello della preghiera. Per Epicoco “L’uomo che prega è l’uomo attento … L’individualista non prega, non ha bisogno di essere teso verso la realtà, ha il suo io come Dio … Chi prega è capace di ascoltare non semplicemente Dio, non semplicemente un bene nascosto nella realtà, ma soprattutto il fratello, la sorella, l’essere umano che ha accanto”.

Giungiamo allora al tema centrale della riflessione proposta dall’autore: “Dare sé stessi, dare la vita”. Sostiene Epicoco: “Arriva il tempo in cui l’adulto deve poter cedere il passo, deve cioè poter tramontare. L’adulto incapace di lasciare la propria posizione a favore del figlio è destinato ad assistere al declino del figlio e quindi alla rovina della sua stessa eredità”. Come si può notare tema attualissimo che si evidenzia in modo drammatico nel “protezionismo” con cui vengono allevate le nuove generazioni, spesso fino all’università e all’ingresso nelle responsabilità del mondo degli adulti, lì dove poi emergono le difficoltà legate al lavoro e alla famiglia. Epicoco chiama “eredità generativa” questo processo. “L’Eredità generativa non è ereditare qualcosa, è invece poter sperimentare che l’altro, l’adulto che mi ha tenuto la mano, in qualche modo rende possibile la mia esperienza, qualunque essa sia. Sostiene la mia vocazione, sostiene il mio sogno, la mia realizzazione …. vuole dare a me la possibilità di essere me stesso in una continuazione”.

Seguono alcune pagine in cui l’autore affronta il tema del carisma, prepotentemente tornato di attualità nel dibattito inter ecclesiale e poi conclude, e anche noi concludiamo con le sue parole: “Ascanio potrà essere davvero umano quando smetterà di pensare a sé stesso come un altro Enea. Egli ha bisogno di quell’adulto come termine di paragone, ma quell’adulto a un certo punto dovrà imparare a congedarsi dal figlio perché il figlio possa divenire sé stesso, cioè possa ereditare quell’umano e possa esprimerlo in una forma vincente che quella che ci fa intercettare il presente senza nostalgie per il passato e senza fughe nel futuro. È interessante che tutto questo nasca dal dono di sé e quando sei amato da una persona che disposta a dare della vita per te, sei disposto a salvare l’umano che hai ricevuto in quel dono gratuito, a preservare il fuoco che ha reso possibile il dono di sé di quella persona.

Non si ereditano mai le cose, si eredità sempre l’umano”.

A lettore il piacere di gustare le tante altre belle pagine di questo libro.

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