IL MIO NATALE DEL 2020

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di Francesco Inguanti

La notte di Natale ho deciso di attendere la mezzanotte. Vivo da solo, avevo visto la Messa del Papa in televisione, avevo cenato, rigorosamente da solo, potevo anche andare letto. Eppure mi muoveva una banale curiosità: verificare se effettivamente le campane delle chiese della mia città avrebbero suonato, come era stato anticipato da alcuni giorni in tutte le chiese.

Qualche minuto prima dell’ora X ho aperto la finestra ed effettivamente dopo poco un flebile ma ben distinto suono di campane si è diffuso nel quartiere. Esso è stato ben presto attutito da un più lungo scoppio di mortaretti, segno più laico, ma sempre ben accetto nella tradizione popolare, di festa e di gioia.

Il suono delle campane mi ha provocato un senso di serenità e mi ha fatto rivivere seppur per poco esperienze della mia infanzia quando in paese poco dopo l’inizio della Messa di Mezzanotte suonavano con ben maggior vigore e consistenza le campane di tutte le chiese. Per qualche anno ho chiesto a mia madre come potesse accadere che le campane di tante chiese distanti fra loro potessero suonare contemporaneamente. Mia madre per qualche anno mi ha risposto che era Gesù Bambino che venendo sulla terra poteva fare questo piccolo prodigio. Ed io per qualche anno ci ho creduto; poi dopo ho fatto finta di crederci per non dispiacere mia madre.

Questa immagine di Gesù Bambino che scende sulla terra, sulla mia città e dall’alto comunica che è nato un’altra volta, come aveva promesso e come fa da più di duemila anni, mi ha fatto fermare sul davanzale della finestra più del dovuto, finché uno starnuto premonitore mi ha convinto di non rischiare un raffreddore per seguire i sogni che potevo proseguire anche da dentro casa.

Ho continuato a pensare che la Chiesa aveva posto un piccolo gesto, ma pubblico e di rilevanza cittadina, chiedendo a noi fedeli di farlo seguire con una breve preghiera di tutta la piccola famiglia radunata attorno al presepe. E così anch’io benché solo in casa ho recitato la preghiera suggerita e mi sono sentito unito a tutti i cristiani e idealmente a tutti gli uomini, i successori di quei pastori ai quali duemila anni prima era stato fatto lo stesso annuncio, magari senza campane ma con altrettanto chiarezza.

Mi sono sempre chiesto quale fosse la consapevolezza di quei personaggi da noi rappresentati nel presepe che nulla sapevano di quel fatto che stava per accadere, ma che nel loro cuore attendevano da tanto tempo, magari senza rendersene pienamente conto.

Prima di andare a letto sono tornato a rileggere le pagine di un libro di Jan Dobracznski, “L’ombra del padre. Il romanzo di Giuseppe”, citato anche da papa Francesco nella sua recente lettera “”Patris Corde” in cui invita a guardare con attenzione alla figura di questo santo. Le pagine che riportano la descrizione della visita dei pastori è molto appassionate. Essi sono rappresentati come persone pericolose, straniere in quella terra, e poco amate dai residenti, le quali si presentano alla grotta in cui giacciono in fondo Gesù e Maria e all’ingresso Giuseppe che è visibilmente impaurito e non sa che pesci pigliare. Le argomentazioni che i pastori portano a Giuseppe per la loro visita suonano molto strane. Chiedono di vedere un bambino che a loro dire è nato perché avevano sentito delle voci.

“ – Si, erano delle voci … – affermò infine. – Le abbiamo sentite tutti. Non poteva essere un sogno. Il sogno viene a uno solo. Non ci sono due sogni uguali …

  • E che cosa dicevano quelle voci? (…)
  • Dicevano cose strane … Che andassimo a cercare il Bambino che è nato nella notte nel campo di Davide ed è stato deposto in una mangiatoia di animali …
  • E a che scopo quelle voci vi hanno ordinato di cercare il bambino?
  • Hanno ordinato di cercarlo e di guardarlo – affermò evasivo. Improvvisamente chiese: – Com’è questo Bambino?
  • Come gli altri bambini.

Scosse il capo, come se non potesse comprendere qualcosa.

  • Dici così … Ma le voci hanno ordinato di andare, cercarlo, trovarlo e porgergli omaggio … Non so perché … Ognuno di noi ha preso con sé quello che poteva … Per offrirlo … E tu dici: un bambino qualsiasi? Ogni notte nascono dei bambini. Perché di questo Bambino hanno parlato le voci? Dobbiamo vederlo. Dobbiamo convincerci”.

Giuseppe pauroso e titubante decide di farli entrare, ma prima pone un’altra domanda

“ – Che cosa vi aspettate dunque da Lui? (…)

  • Lui ha detto – affermò – che questo Bimbo porterà la pace …
  • La pace? – esclamò indietreggiando istintivamente di un passo. – Vi ha detto così
  • Ha detto così. Te ne stupisci? (…)
  • Mi stupisce che voi cerchiate la pace – era in preda all’incertezza. – Avete l’aspetto di gente che ama la guerra.

Il vecchio pastore si strinse nelle spalle.

  • Che ne sai tu di noi, uomo? – disse. – Dobbiamo lottare. Ma ognuno di noi vorrebbe lasciare a suo figlio una vita diversa. Facci passare”.

Giuseppe a questo punto li fa passare raccomandando di non fare rumore perché mamma e figlio dormono.

Il racconto si conclude così: “Entrarono uno dopo l’altro con cautela, sulle punte dei piedi, con strana umiltà. Il loro aspetto minaccioso, bellicoso era scomparso. Miriam non dormiva più, guardava i pastori che entravano nella grotta, e sul viso non corse sgomento. Il Bimbo non pianse. Il cane non abbaiò. Insieme alle persone che vi entravano, si spandeva nella grotta il misterioso splendore di cui era inondata la notte”.

Con questa immagine e con questo ricordo sono andato a dormire.

 

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