Sulle tracce di Sant’Antonio da Padova a Monreale

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di Giuseppe Ruggirello

Quella di Sant’Antonio da Padova a Monreale è una presenza discreta, quasi nascosta, ma le testimonianze più antiche nella cittadina normanna risalgono a più di 400 anni fa. La prima di esse, attualmente la più antica iconografia del Santo a Monreale, si trova in una piccola cappella nell’orto dei frati cappuccini. È un affresco che raffigura Sant’Antonio con i suoi tipici elementi iconografici: in piedi, vestito col saio francescano, il giglio nella mano destra e il libro dei Vangeli con sopra il bambino Gesù sulla mano sinistra.

La cappella, che oggi troviamo isolata da altri edifici, doveva esserlo anche al tempo dei Cappuccini, il cui convento fu edificato per volontà dell’arcivescovo Ludovico I De Torres tra il 1580 e il 1581, al di sotto del Palazzo arcivescovile e del Giardino del Seminario, su una delle arterie principali dell’epoca, che da via di Santa Liberata saliva su a Monreale per “Via Cappuccini”, dando accesso alla città attraverso la “Porta dei Cappuccini”, il cui arco è stato demolito a metà del secolo scorso.

L’orto del convento era chiuso da mura, alcune delle quali ancora esistenti. Lo storico francescano Padre Antonino da Castellammare nel secondo volume della sua “Storia dei confrati Cappuccini della Provincia di Palermo”, edita a Palermo nel 1922, riferisce che “L’Ill.mo Mons. D. Luigi o Ludovico Torres, primo, Arcivescovo di Monreale, spinto da affetto e divozione verso la nostra Riforma, fabbricò a sue spese un Convento di Cappuccini, distante dal suo palazzo quasi un tiro di palla, in contrada dalla della città chiamata Sciambra. Fabbricò un convento vicino al suo palazzo, per avere la comodità di visitare spesso i religiosi, che egli amava con tenerezza di padre” (p. 67).

Il nipote, Ludovico II De Torres, completò l’opera di edificazione a partire dal 1588, quando divenne arcivescovo di Monreale, dopo la morte dello zio. Nel Convento dei Cappuccini, come scriverà lui stesso sotto lo pseudonimo del suo segretario Gio. Luigi Lello, consacrò la Chiesa “in honore dell’uno e dell’altro San Luigi, Vescovo e Re”. Anche gli arcivescovi successivi mostrarono un’attenzione nei confronti dei padri cappuccini. È significativo che proprio alla comunità francescana l’arcivescovo Giovanni Torresiglia, nipote di papa Sisto V, donò la stupenda tela sulla Natività di Gesù (1646) del pittore fiammingo Matthias Stomer, oggi presso la Galleria civica di Monreale.

Con uno sforzo di astrazione possiamo immaginare il Convento, divenuto dopo la soppressione delle corporazioni religiose nel 1866 un Carcere mandamentale e in seguito anche caserma dei Carabinieri. Fu successivamente abbattuto e nell’area di terreno sottostante venne edificata la Chiesa “Regina Apostolorum” e il nuovo Seminario Arcivescovile, che acquistò la proprietà dei terreni dell’antico orto dei Cappuccini. Da più di vent’anni la struttura dell’ex Seminario e della Chiesa è ormai la sede del Liceo statale “E. Basile”, per volontà dell’arcivescovo Pio Vittorio Vigo che pensò così di favorire l’istruzione superiore dei giovani, dando quella sede e trasferendo altrove il Seminario.

A destra dell’attuale Liceo si può oggi ammirare la Cappella, fino al 2013 coperta interamente dai rovi e da un canneto. In quell’anno il Seminario arcivescovile ha iniziato un’opera di bonifica dell’area, provvedendo alla pulizia del terreno e liberando l’antica Cappella da tutte le erbe infestanti, e riparando il tetto ormai diruto, che rischiava di rovinare irreversibilmente gli affreschi. Infatti, facendosi largo tra i rovi appariva un tesoro nascosto, che la dott.ssa Antonella Vaglica aveva fatto conoscere con la pubblicazione “Dietro un muro tra le crepe. Chiese monrealesi chiuse al culto” (Abadir, Palermo 2005), attribuendo quegli affreschi all’artista monrealese Pietro Novelli.

La Cappella, il cui tetto era all’inizio probabilmente spiovente, così come mostra la linea pittorica degli affreschi, si presenta con una abside ed un altare centrale, al di sopra del quale è raffigurata l’Adorazione dei pastori alla grotta di Betlemme, nella Natività del Signore Gesù.

In alto un angelo più grande e dei puttini recano un cartiglio con il canto che illuminò quella notte, in cui è ancora leggibile la scritta “Gloria in excelsis Deo”. La scena è avvolta dalla luce dello Spirito Santo, che sotto forma di colomba squarcia le nubi, procedendo dalla parte sommitale della cappella, al di sopra dell’abside.

Al centro la Vergine Maria, sollevando un lembo del lenzuolo sopra la mangiatoia, mostra il figlio Gesù ai due pastori, l’uno prostrato e l’altro in atto di reverenza, e allo zampognaro a destra, che viene raffigurato proprio con una tipica zampogna monrealese; dietro la Madonna è visibile un asinello e accanto un bue, mentre all’estremità sinistra San Giuseppe chiude la scena.

Questa parte dell’affresco è indubbiamente quella più antica e, come ha mostrato la Vaglica con diversi raffronti ed analogie, la mano esperta potrebbe davvero essere ricondotta al Novelli o alla sua bottega. Un rapporto ed un affetto della famiglia Novelli con i Cappuccini è attestato sempre da padre Antonino da Castellammare, il quale ci riferisce che: “nel 1624 moriva di peste nel lazzaretto il valente pittore Pietro Antonio Novelli, padre del celebre pittore Pietro Novelli. Morendo dettò il suo testamento al nostro p. Andrea da Termini, che fungeva da pubblico notaio. Pietro Antonio Novelli lasciò onze dieci, perché si facesse un tabernacolo per il Santissimo Sacramento, nella chiesa dei Cappuccini della sua patria, Monreale. E il tabernacolo in seguito fu fatto e riuscì un’opera d’arte ammirabile. Oggi si trova nel nuovo convento, destinato a Collegetto Serafico, chiamato La Casa Santa”.

Dunque, che sia davvero reale la possibilità che si tratti di un affresco del Novelli? I restauri che si vorrebbe realizzare hanno anche questo obiettivo di studio, che al di là della paternità dell’affresco, restituirebbe un altro tesoro alla città.

Di mano diversa sono invece gli affreschi sulle pareti laterali e su quella frontale, ai lati dell’abside, in cui ritroviamo a sinistra San Francesco con la croce e a destra Sant’Antonio da Padova. Nelle pareti laterali, invece, troviamo a sinistra l’apostolo San Giacomo maggiore, raffigurato come pellegrino, a destra un Santo con una bambina (San Gioacchino?), con un bastone.

Sant’Antonio con il Padre serafico fanno da cornice alla scena centrale della Natività, che nella forma tradizionale e popolare del Presepio, si deve proprio a San Francesco d’Assisi. La mensa dell’altare è in continuità con la mangiatoia, a ricordarci che nel sacrificio eucaristico quel pane del cielo è il Corpo di Cristo. Ed in più c’è la devozione dei francescani alla Madre di Dio, che con il figlio Gesù occupa la scena centrale dell’affresco, che ci consente di poter guardare all’altra testimonianza monrealese legata a Sant’Antonio.

Infatti, passa quasi inosservata ai più, persino ai monrealesi che vivono la piazza, una grande edicola ad angolo, che invece accoglie tutti i pellegrini e tutti coloro che “salgono” a Monreale con la loro auto. Non appena la via Palermo si apre sullo slargo dell’attuale Piazza Vittorio Emanuele, la Cattedrale rapisce subito lo sguardo e non si osserva che proprio a sinistra c’è una grande edicola votiva, chiusa da un cancello e da una finestra, con una ardesia raffigurante proprio Sant’Antonio da Padova, vestito dell’abito francescano, con le braccia protese ad accogliere il pellegrino e ad indicare in alto con la mano sinistra alzata, la Madre di Dio che porge Gesù bambino. Per Sant’Antonio, che qui viene rappresentato senza il giglio e gli altri simboli agiografici, la Vergine Maria è il giglio puro e prezioso, è lei la medicina contro le ustioni dei vizi (cf. Sermoni).

Una scena molto luminosa e chiara, rispetto alla quale non abbiamo al momento altre notizie se non quelle che si desumono da una piccola targa in marmo, esterna all’edicola, posta in alto a sinistra. Nell’epigrafe si legge ancora chiaramente: “Tutte quelle persone che devotamente reciteranno un Pater Noster et una Ave Maria a questa Imagine di S. Antonio de Padua, guadagneranno giorni 40 d’indulgenza, concesse da Monsignore Ill.mo D. Gio.ne Roano Arcivescovo di Monreale”. Il riferimento all’arcivescovo Roano ci dice che quella epigrafe fu posta negli anni del suo episcopato: 1674 al 1703, e che dunque l’edicola votiva di Sant’Antonio risale alla fine del XVII secolo.

Non molto distante da questa edicola votiva, percorrendo la via Antonio Veneziano e addentrandosi nell’antico quartiere del Pozzillo, si trova ancora oggi la chiesetta di Sant’Antonio da Padova (detta di Sant’Antonino). Anche qui si hanno poche informazioni: la costruzione risalirebbe esattamente a 300 anni fa.

Edificata nel 1720, nasce come chiesa della confraternita di Sant’Antonio di Padova e successivamente divenne sede della confraternita dei Santi Giuliano ed Euno, protettori dei “bastàsi, siggittieri e portaroba”. Tale confraternita era stata fondata a Palermo nel 1649 dai facchini e addetti alle portantine, che scelsero il patrocinio dei due santi martiri d’Alessandria d’Egitto.

La chiesetta si presenta ad un’unica navata, con un rosone sulla facciata e una loggia campanaria. In una nicchia sopra l’altare è posta la statua del Santo taumaturgo, mentre sulla parete di destra vi è una tela con San Sebastiano. Accanto all’altare, a destra, una grande epigrafe ricorda che il 13 giugno 1923 si completarono i lavori di abbellimento con marmi e decorazioni a mosaico, a cura della Famiglia Matranga e dei figli che “da oltre un secolo” si sono presi cura della chiesetta con amore e devozione. Stefano e Giuseppe Di Vincenzo l’abbellirono e “fregiavano di marmi”, e “Giuseppe Di Vincenzo con l’opera artistica dei suoi mosaici aggiunse eleganza e decoro”.

Ancora oggi la devozione al Santo predicatore francescano è viva nella comunità cittadina, che nella “tredicina” partecipa con fervore alla S. Messa nella chiesetta di Sant’Antonio. Quest’anno, in modo del tutto eccezionale a motivo del Coronavirus, la statua è stata portata dall’arciprete della Cattedrale all’interno del Duomo normanno, per consentire ai fedeli di poter partecipare e vivere i giorni di preparazione alla festa del 13 giugno. Come sempre i fedeli sono accorsi ancora più numerosi, recitando prima della S. Messa il Rosario di Sant’Antonio e animando la celebrazione con dei canti tradizionali.

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