ASCOLTO E PANDEMIA: gli insegnanti di religione in tempo di pandemia

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di Francesco Inguanti

Un anno scolastico faticoso e indimenticabile. Su questo giudizio si ritrovano tutti gli insegnati italiani, dal Trentino alla Sicilia. Le esperienze didattiche e umane sono state tantissime e diversificate per città, scuola, materia, regioni, ecc.

Ne abbiamo parlato con alcuni insegnati di religione della Diocesi Monreale.

Il primo elemento che accomuna tutti è l’alternanza tra insegnamento in presenza e a distanza, quando sono scoppiati focolai nelle varie fasi.

Esordisce Maria Antonietta Maltese: “Abbiamo dovuto alternare le lezioni a distanza con quelle frontali, a secondo della diffusione e pericolosità del contagio. Un’esperienza nuova di cui ora a conclusione dell’anno possiamo dirci soddisfatte”.

E proprio in questi casi anche le insegnanti hanno sopportato periodi di quarantena: “Nel mio istituto – dice Francesca Cilluffo – la scuola si è svolta regolarmente con le lezioni in aula, ma ogni volta che scoppiava un caso di Covid eravamo costretti ala quarantena ed io personalmente sono rimasta a casa ben quattro volte durante tutto l’anno”.

Anche Patrizia Sgro è rimasta a casa più volte. Con lei apriamo il tema della didattica: “L’esperienza di quest’anno è stata abbastanza dura. Ho fatto quarantena per quattro volte ed è stato veramente faticoso. Però abbiamo lavorato tantissimo con la Dad sia con i bambini a casa che con quelli a scuola. Ho insegnato in I, II e III elementare, e devo dire che con loro ho lavorato benissimo”. Francesca Cilluffo riprende: “La pandemia ci ha costretti ad usare di più il computer, ad imparare ad usare i programmi e ad inventarci tanti modi diversi di comunicare con i bambini. Dal punto di vista didattico ci è stata di grande aiuto la Lavagna Interattiva Multimediale (LIM) con cui abbiamo potuto dialogare e interagire con loro anche quando noi eravamo costrette a stare a casa e loro erano a scuola”.

Una significativa differenza si è registrata tra gli alunni delle scuole superiori. “Insegno alla scuola superiore – precisa Mariella Evola –. Devo riconoscere che i ragazzi hanno vissuto con grande difficoltà questa situazione tanto è vero che a volte sono riusciti anche ad esternarla, in quelle rare occasioni in cui eravamo in presenza. Hanno espresso con sincerità il loro pensiero evidenziando anche motivi di scoramento e di pessimismo. In sintesi hanno mostrato difficoltà e sofferenza. La loro paura più grande era quella di non poter più uscire per stare con gli amici, di un futuro che limita la libertà, il lavoro, la vita sociale. Le mie ore di insegnamento della religione sono state per loro una buona occasione per parlare della situazione, delle loro difficoltà ed io sono stata chiamate a rafforzare la loro speranza”.

Questo è il filo che lega tutte le esperienze, racchiuse in due parole: ascolto e accompagnamento. Don Carmelo Migliore, che da un anno ha assunto l’incarico di direttore dell’Ufficio per l’insegnamento della religione cattolica già in un contesto di pandemia lo spiega così: “Abbiamo improntato tutta l’attività attorno alle parole ascolto e compagnia. Questo è quello che più di tutto hanno chiesto quest’anno i ragazzi. A fine anno possiamo dire di aver fatto un buon lavoro e la dimostrazione ci viene dal riconoscimento avuto dalle famiglie e dagli altri insegnati.  A macchia d’olio abbiamo avuto tanti paesi in zona rossa e quindi la Dad è stato uno strumento prezioso innanzitutto per ascoltare, per far raccontare ai ragazzi le loro esperienze e difficoltà”.

C’è anche un altro tema che indica don Carmelo: “Di fronte a tutte le difficoltà è scattata una maggiore solidarietà tra tutti i colleghi; l’ora di religione non è stata considerata come di serie B, ma una ulteriore occasione per aiutare e sostenere i ragazzi. La frase di papa Francesco “Siamo tutti sulla stessa barca” è stata di guida per tutti e stimolo per unificare esperienze e risorse. Molti docenti di materie curriculari hanno scoperto nell’insegnate di religione una risorsa in più anche per le loro materie”.

La stessa testimonianza ci viene da Mariella Evola che sottolinea l’importanza del lavorare insieme pur nel rispetto delle singole competenze con tutti gli insegnati. Ma poi il discorso torna ai bambini, all’esperienza che hanno fatto e a come ne sono usciti.

“I più piccoli, quelli che sono entrati a scuola per la prima volta in piena pandemia non hanno fatto molte domande. È risultato per loro normale usare le mascherine e rispettare il distanziamento. I più grandi ricordando gli anni passati più volte si chiedevano il perché della rinuncia agli abbracci e l’obbligo di non muoversi del banco. Non hanno avuto atteggiamenti di paura e diffidenza, che sono tipici degli adulti. Anzi hanno cercato di aiutarsi come hanno potuto. I bambini hanno capito e sperimentato forse per la prima volta che cosa è la precarietà, l’impossibilità di fare progetti anche a breve periodo e la necessita di dipendere da altro. I più grandi, quelli di IV e V elementare, sono maturati in tutte queste difficoltà”.

Anche Caterina Marsala ha fatto la stessa esperienza e dice. “Le difficoltà di carattere psicologico sono state parecchie. Quando entravo nelle classi e i bambini volevano abbracciarmi mi sentivo morire. E ripetevo loro: ‘Vi abbraccio col cuore, poi recuperiamo. I bambini hanno imparato l’importanza del vivere quotidiano e di saper ringraziare per quello che ci è dato oggi.  Erano grandi fruitori della tecnologia, ma hanno imparato quanto sia insostituibile il rapporto umano. In poche parole hanno imparato che nella realtà virtuale c’è un limite; e questo sarà molto utile in seguito quando ricominceranno a fare largo uso del web.”. In molti poi esprimono apprezzamento per le famiglie che sono state in molti casi un punto di riferimento per bambini e docenti, in un lavoro di sinergie che ha consentito loro di non sentirsi schiacciati dalla paura e dalle regole.

Sul tema della paura Mariella Evola si esprime così: “La loro paura più grande era quella di non poter più uscire per stare con gli amici, di un futuro che limita la libertà, il lavoro, la vita sociale. Le mie ore di insegnamento della religione sono state per loro una buona occasione per parlare della situazione, delle loro difficoltà ed io sono stata chiamate a rafforzare la loro speranza. E su questo abbiamo lavorato tanto anche con gli altri insegnanti. Non hanno mostrato diffidenza, ma certo molta prudenza. E quindi molto diligenti nell’applicare le normative”.

Don Carmelo Migliore poi aggiunge: “Questo tempo così speciale ci ha fatto vivere e capire tante cose, soprattutto ‘la fragilità delle nostre persone’. Abbiamo cercato innanzitutto di sostenere gli insegnanti a riscoprire il valore positivo di tutto ciò che è accaduto pur in mezzo a tante difficoltà, perché diventi un atteggiamento nel pensare e nel vivere la professione di insegnanti. La fragilità riscoperta non deve diventare un limite, al contrario, deve essere il punto di forza da cui dipende il nostro presente e il nostro prossimo futuro. L’ora di religione è stata per tanti ragazzi una risorsa preziosa e forse imprevista, perché di fronte a questo momento di crisi, una disciplina così particolare, che non è catechesi ma è finalizzata ad una proposta di arricchimento valoriale, ha mostrato una potenzialità e una opportunità sulla quale tutta la scuola deve credere”.

L’Ufficio per l’insegnamento della religione cattolica ha reso poi un importante servizio sul tema della formazione e dell’aggiornamento con l’offerta dei corsi di formazione on line che hanno visto la partecipazione di tanti insegnanti anche fuori dalla diocesi di Monreale al fine di ottenere i crediti formativi. L’UCIIM si è fatta garante della nostra proposta formativa e il Ministero ha riconosciuto alla fine i crediti. Il tema affrontato quest’anno è stato quello sulla dipendenza dai dispositivi digitali.

Altro impegno dell’Ufficio è stato la creazione di una rete tra direttori, insegnanti e Ufficio diocesano. Esso offre prevalentemente servizi ai docenti di religione anche grazie alla messa in atto di un nuovo sito. 

 

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